Speranza, resistenza, resilienza anche per alcuni aspetti. Il pop d’autore si mescola di mondo e di multi-etnia, di radici diverse… di quel gusto indiano che arriva dal sitar dello storico membro Cico. Con lui oggi i Korishanti portano a casa la stampa di un disco nato durante la pandemia. “Il sogno di Greta e altre storie…” parla l’italiano, il napoletano, il siciliano, sfoggia dolcissime melodie a planare, si colora di pastelli morbidi ma anche di acuminate denunce sociali. Spicca la figura di Luciana Littizzetto nel singolo che troviamo anche in rete: “Il sogno di Greta”. E che bella questa immagine di copertina: ci vorrebbero mille interviste solo per capirne pochi angoli.
Un disco che finalmente trova una dimensione fisica. Un bisogno che testimonia l’immortalità dell’arte? Oggi che la musica è tutta liquida?
Più che un bisogno, un invito a godersi l’oggetto fisico: booklet con grafica e testi, qualità della riproduzione audio, collezione, cose non sempre fruibili dalle piattaforme streaming. Inoltre, pur non negando la comodità della musica liquida, crediamo che l’oggetto fisico sia in controtendenza rispetto ad un fenomeno, quello della frammentazione delle informazioni e degli stimoli, che riteniamo nocivo rispetto alle capacità degli esseri umani di mantenere l’attenzione per un arco di tempo superiore ai 10 secondi e, relativamente alla musica, di conoscere un artista nella sua complessità, fuori dalla logica del singolo che oggi popola buona parte delle playlist presenti nelle piattaforme.
E qualcuno vi avrà certamente mosso la polemica secondo la quale un disco stampato inquina… cosa rispondete?
Intanto abbiamo scelto il formato digipack, che contiene meno plastica rispetto alla classica e più economica confezione jewel box. In seconda battuta anche la musica in streaming inquina, se si ascolta un album ripetutamente, ovviamente è quello che ci piacerebbe avvenisse con il nostro lavoro, il CD è ancora l’opzione più green. Inoltre è inevitabile che esporsi ideologicamente porti sempre al rischio della mancata iper-coerenza. È un meccanismo tipico della dialettica pubblica, affermatosi con i social; farsi portatore di un messaggio ti mette nella scomoda posizione di essere tacciato di essere tu il primo a non rispettarlo, così da spostare l’attenzione dal messaggio alla persona. Come quando la Thunberg fu tacciata di essere incoerente a causa dell’inquinamento prodotto dai mezzi di trasporto utilizzati per la sua opera di sensibilizzazione. Forse, e lo dico come provocazione, l’unico modo per salvaguardare la coerenza è uscire dal sistema, perché il solo farne parte, in qualche modo, ci corrompe.
Un disco politico?
Inutile negarlo. I nostri ideali però guardano verso il bene ed il rispetto della collettività e del singolo essere umano, piuttosto che a correnti politiche o all’integralismo. Forse sarebbe più corretto pertanto definirlo pre-politico, come lo sono molte organizzazioni portatrici di ideali di pace, libertà e giustizia.
E quali sono le “altre storie” di cui si fa menzione?
Molto semplicemente sono i 9 brani restanti che compongono l’album. Storie di donne, di scelte, di denuncia, di speranza, di rinascita. E avrebbero potuto essere molte di più; purtroppo la contemporaneità è molto generosa nell’offrire storie sbagliate che dovrebbero imporre una riflessione. Nel nostro microcosmo è quella l’intenzione, scattare qualche fotografia per evitare che ciò che ritrae si perda nel rumore di fondo…
Che poi c’è la terra intesa non solo come pianeta ma anche come tradizione dell’uomo o sbaglio?
Non sbagli. La scelta di utilizzare il dialetto siciliano e quello napoletano in alcuni brani ne è una prova. A rischio di sembrare altisonante, è un disco umanistico, che cerca di riportare l’attenzione su ciò che è profondamente umano, pur nelle sue storture. Una sorta di riappropriazione di ciò che l’umanità è, in un tempo in cui viene sistematicamente violentata.
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