“Backstage” è il nuovo singolo di Raspa, e già dal primo ascolto emerge chiaro il suo messaggio: solo chi ha qualcosa da dire può davvero fare arte. Il pezzo racconta la lotta quotidiana di chi sceglie un percorso difficile ma vero, senza maschere né scorciatoie. Per Raspa il rap è ossigeno, è necessità.
Lo abbiamo intervistato per scoprire cosa si cela dietro il brano e perché oggi più che mai è fondamentale essere fedeli a se stessi.
Dalla batteria al rap: quando hai capito che scrivere poteva essere più forte che suonare?
In realtà non ho mai pensato che scrivere fosse più forte che suonare. È successo tutto all’improvviso, sono successe determinate cose nella mia vita che mi hanno segnato e di conseguenza in qualche modo dovevo esternare i miei disagi, dovevo sfogarmi.
In quel periodo ascoltavo del rap e ho deciso che potesse essere il metodo migliore per sfogarsi senza censure e quindi eccomi qui.
Nei tuoi testi c’è spesso il peso delle emozioni vissute da adolescente. Quanto ti ha aiutato la musica a trasformare la rabbia e la tristezza in forza creativa?
La musica, in questo caso il rap, mi ha aiutato tantissimo perché mi ha dato modo di scoprire un nuovo mondo che prima non avevo mai nemmeno guardato. La forza della scrittura mi ha aiutato a canalizzare le mie emozioni e a sfogarle in modo da non implodere.
In “Backstage” parli della tua voglia di fare, anche a costo di affrontare percorsi difficili. C’è un episodio recente in cui ti sei sentito davvero come se stessi “lottando dietro le quinte”?
I percorsi difficili li ho praticamente sempre avuti perché nella mia città non c’è modo di poter emergere e quindi mi devo sempre muovere per andare in altre regioni, in altre città e già questo è uno dei tanti ostacoli. Uno degli ultimi episodi in cui non mi sono sentito capito è stato all’interno di un contest in cui Morgan, che era un giurato, ha criticato aspramente la mia performance sul mio brano “è tutto sbagliato” perché a suo dire poteva andare ad intaccare la sensibilità di chi avevo davanti. In quel momento ero parecchio amareggiato perché sentivo che il vero messaggio del mio brano non era stato capito e che, anche Morgan, si era soffermato solo alla superficie di un ritornello ritmato. In quel caso c’è stato però un lieto fine in quanto in realtà sono stato premiato proprio da Morgan come miglior testo, però purtroppo non sempre il finale è il medesimo.
Ti definisci autocritico e pessimista, eppure la tua musica suona come un atto di resistenza. In che modo riesci a tenere acceso il fuoco anche nei momenti di stallo?
Cerco di non perdere la lucidità, mi prendo del tempo, ragiono e cerco di vedere il tutto in maniera oggettiva. Da lì riparto cercando di fare sempre meglio e puntando a obiettivi sempre più alti. Diciamo che “Raspa” è nato proprio per dare una possibilità a Raffaele di rivalsa e di forza.
Oggi Raspa è un artista consapevole. Ma se potessi parlare al te stesso di dieci anni fa, cosa gli diresti?
Al Raspa di 10 anni fa che neanche aveva iniziato col rap, gli direi di iniziare subito, di non perdere tempo e di accerchiarsi di persone valide con la sua stessa passione senza regalare troppo a tutti. Ho sempre regalato senza mai ricevere nulla.