Si indubbiamente l’ombra di quei famosi giornalisti è decisa e inevitabile soprattutto nel pensare al mix di voci, a quel certo gusto anni ’80 nei vestiti come nei synth che mantecano tutto e non solo… anzi ne sono proprio il cuore. Ma c’è molto altro che in fondo è ben ancorato al presente. Un sapore dunque agro-dolce per questo secondo lavoro dei Regione Trucco che tornano con “Mi sono perso” dopo il debutto del 2017 prodotto da Cosmo e ampiamente accolto dalla critica. Emblema e bandiera di un certo modo di essere indie…
Nuovo disco per i Regione Trucco. In tutto questo tempo che cosa è cambiato per voi?
Fondamentalmente nulla. Ci alziamo sempre al mattino per andare a lavorare. Nel nuovo disco, però, abbiamo messo tutti noi stessi. Abbiamo fatto tesoro di quello che abbiamo imparato dai live che promuovevano il primo disco, cercando di fare un ulteriore step qualitativo nella ricerca dei suoni e nella registrazione in generale (coadiuvati da Enrico Caruso che si è occupato dei mix e di alcuni master)
La pandemia in che modo ha scritto l’album?
Domanda difficile: in realtà, almeno consciamente, sulla scrittura non ha influito un granchè. Non c’è una sola canzone del disco che faccia riferimento ad essa. Abbiamo avuto qualche difficoltà logistica durante le varie limitazioni per incontrarci ed arrangiare i pezzi, ma nulla di più. Poi noi veniamo dalla campagna, quindi anche in pieno lockdown era abbastanza semplice evadere per una passeggiata nei boschi.
Dal vivo… si sta tornando a suonare in quel modo oppure è cambiata anche questa dimensione?
A dire la verità, per quanto ci riguarda la dimensione live ha sempre continuato. Anche nei due anni di pandemia, in realtà in estate si poteva suonare e l’abbiamo sempre fatto. Forse, per una volta, hanno patito di più i big. Le limitazioni nei palazzetti, negli stadi hanno bloccato i grandi concerti: ma purtroppo o per fortuna, quella dimensione live non ci ha riguardato. Comunque, ci sembra che in generale non solo si sia tornati ai livelli precedenti la pandemia, ma addirittura ci sia stato un incremento. Ragazzini che suonano negli stadi, tournè sold out dappertutto. Bene, no?
Che tipo di suono avete inseguito questa volta?
In generale, il tentativo è stato quello di prendere lo stile di scrittura cantautorale e cercare di cucirgli addosso un “vestito” contemporaneo. Sicuramente una parte significativa l’ha giocata l’elettronica, che abbiamo usato cercando però di non (s)cadere nei tipici suoni anni ’80. Ad essa abbiamo però affiancato strumenti classici: ci sono molte chitarre (sia acustiche, che elettriche e in Tagadà anche classiche), basso, batteria vera e perfino il violoncello. Crediamo che questo mix sia un po’ il nostro marchio di fabbrica.
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