Torna in scena il duo che si firma Caron Dimonio, al secolo Giuseppe Lo Bue e Filippo Scalzo che da oggi arricchiscono il quadro del suono con la presenza fissa del percussionista Lorenzo Brogi. Sempre firmato dalla produzione di Gianluca Lo Presti, il suono dei Caron Dimonio cerca l’altrove nel concetto di pop, sfogliando, questa volta, introspezioni filosofiche di vita e di morte. Si intitola “Porno Post Mortem” questo nuovo lavoro dentro cui le intenzioni si fanno scure, sghembe nelle forme, cavernose dentro le riflessioni, quasi liturgiche in molti aspetti. Di sicuro una proposta che esce fuori dai soliti cliché della scena indie italiana e proprio per questo ne arricchiscono lo spettro e le direzioni.
Tornano i Caron Dimonio e torna quel suono distopico rivolto alle oscurità della vita. Avete sempre avuto questo tipo di approccio. Perché? Da cosa è ispirato?
Giuseppe: per vissuto personale e per un innato “male di vivere”, siamo di base propensi (penso di parlare anche per gli altri) a esperire e a voler esprimere questo tipo di emozioni.
Lorenzo: se le sedie del tuo appartamento si spostano da sole e mentre dormi sei svegliato dal rumore della porta di casa che si apre e poi sbatte ripetutamente nonostante tu sia sicuro di averla chiusa a chiave prima di andare a letto, è giusto attizzare i tuoi brividi con qualcosa di ballabile.
Filippo: beh, sarebbe semplice rispondere che deriva dal quotidiano, da tutto ciò che vediamo intorno.
Credo questo approccio sia anche ispirato però dalle nostre letture, da cosa guardiamo, da un certo esistenzialismo di fondo che accomuna tutti e tre, anche se proviamo a seppellirlo sotto tonnellate di minchiate. Personalmente mi hanno sempre tormentato argomenti come la memoria, il ricordo che sbiadisce, l’inesorabile scorrere del tempo, l’incomunicabilità tra persone. E mi ha sempre affascinato vedere quotidianamente tutto ciò in una città considerata “una festa costante” come Bologna; dovreste vedere di notte come tutto ciò stride.
Tornano le maschere, soprattutto nel video della title track così come nell’iconografia delle foto. Cosa rappresentano?
Giuseppe: le maschere rappresentano le nostre paure, le nostre pulsioni, i nostri vizi, i nostri difetti, sono le emozioni con cui cerchiamo di convivere e con cui cerchiamo di trovare un equilibrio, è l’ES che combatte con il super Io.
Lorenzo: nelle foto promozionali io sono quello a sinistra, mi intrigava quella maschera con gli occhiali e qualche piercing come usa tra i ragazzi un po’ anticonformisti.
Nel video che abbiamo girato a Chiapporato, sull’Appennino,invece, ci sentivamo talmente a nostro agio che abbiamo deciso di non indossare alcuna maschera.
E soprattutto nel mondo di oggi, cosa significa per voi indossare una maschera?
Giuseppe: l’immagine che abbiamo di noi stessi non è esattamente quella che gli altri vedono, stessa cosa al contrario, tutto è relativo. Abbiamo molte maschere, e sono anche gli altri a darcele, è inevitabile. A grandi linee allo stesso tempo siamo tutti in qualche modo etichettabili, per attitudine ci incontriamo, creiamo dei gruppi e ci relazioniamo con persone a noi più o meno simili. Credo sia sempre andata così.
Lorenzo: la maschera crea quel distacco con gli interlocutori che permette di guadagnare il giusto silenzio per essere ascoltati. Vista la situazione odierna è opportuno iniziare ad indossare anche un elmetto.
Filippo: indossare una maschera nel mondo di oggi è qualcosa di (purtroppo) essenziale per essere accettati, soprattutto in base al contesto sociale-culturale-economico a cui si vuole aspirare
È molto difficile essere allineati in tutto e per tutto alle posizioni altrui, ovvio. Ma d’altro canto sentiamo il bisogno disperato di far parte di qualcosa. Ovviamente maschera può essere anche il porsi sempre e comunque in modo polemico dinanzi alle cose; ho sempre pensato che i “bastian contrari” più di tutti abbiano bisogno di attenzioni. Infine, quando penso alla “maschera” mi vengono sempre in mente i comici: risate ed ironia che celano tutt’altro.
La morte in sé è una maschera sociale di oggi?
Giuseppe: se si parla di business sì. Dovrebbe esserci più morte nel senso di una maggiore presa di coscienza riguardo a questo aspetto.
Lorenzo: mi sembra che piacciano molto i surrogati della Morte, ma poi nessuno vuole morire davvero. I cimiteri, luoghi che frequento assiduamente sia di giorno che di notte, sono quasi sempre deserti a parte qualche anziano che si è perso e qualche collezionista di ossa.
Filippo: a giudicare da come viene sbandierata sì.
Parliamo della cover… di queste rose, di questa scritta che par esser come sangue sui petali…
Giuseppe: inizialmente avevo creato una copertina, ma gli altri l’hanno bocciata, giudicandola troppo lugubre. Mario d’Anelli regista del video di Porno Post Mortem ha proposto questa alternativa e devo dire che è più appropriata. I fiori rappresentano l’eros, l’amore, la vita, il loro quasi appassire, il nero grigio che fa da sfondo la morte che si insinua.
Lorenzo: I fiori sono un pensiero gentile per i nostri ascoltatori. Regalate questo disco alla vostra fidanzata o fidanzato,e mettetelo sù ad una veglia funebre. “Non fiori ma opere di bene”? Non sono d’accordo.
Filippo: l’artwork è a cura del nostro amico Mario D’Anelli, chitarrista di European Ghost e Black Veils nonché autore del video di “Porno Post Mortem”. Trovo sia magnifico per rappresentare il concetto di contrasto tra eros e thanatos così forte in questo disco. Ed a riguardo le rose le trovo sempre bellissime.
(In realtà Mario mi ha detto di scrivere queste cose sotto minaccia, non so cosa sto farneticando, eheh).
Si torna al Lotostudio di Gianluca Lo Presti. Un marchio di suono che vi rispecchia ormai? In tal senso avete raggiunto una maturazione e un equilibrio o siete ancora in cerca di rivoluzione?
Giuseppe: con Gianluca ci troviamo molto bene, sa consigliarci bene, spesso ci sono dei (sani) contrasti, ma alla fine si trova la giusta strada, soprattutto quando si mixa il disco. Creiamo in modo molto spontaneo, è l’ispirazione e la voglia di fare musica che ci cerca più che la rivoluzione.
Lorenzo: Gianluca Lo Presti, fertilizzando con ingredienti sintetici il terreno di sua proprietà invaso dai barbari dove ancora fumano i resti dei bivacchi, irradia di suoni, infrasuoni e ultrasuoni i germogli per cogliere infine dei pregiatissimi frutti dolci e amari. Ha mani sapienti e analizzatori di spettro. E sente tutto.
Filippo: siamo oramai di casa al Lotostudio di Gianluca Lo Presti (povero, lo facciamo sempre riposare pochissimo). Ci troviamo estremamente bene a staccare da tutto ed immergerci nell’ambiente sospeso della bassa Ravennate. Inoltre lo studio ha dei suoni incredibili e Gian sa benissimo cosa vogliamo ottenere.
Direi che siamo sempre alla ricerca di una maturazione, di una sostanziale evoluzione, pur rimanendo fedeli a certi concetti (tutto ciò credo si possa evincere ascoltando i nostri dischi dal primo all’ultimo), ed anche in questo Gianluca è fondamentale. Ci tengo infine a ribadire che questo è il nostro primo album con formazione a tre, e l’ingresso di Lorenzo è stato determinante per ottenere ciò.