A pochi giorni dalla pubblicazione del nuovo disco “Symmetry”, oggi incontriamo Dagmar Segbers dei Dagmar’s Collective. Ecco come la cantante ha risposto alle nostre domande.
La tua musica unisce sonorità diverse, come swing, blues e country, senza disdegnare il pop. In che modo questi generi riescono a convivere in un unico filo narrativo ed improvvisativo?
Non ho mai sentito il bisogno di legarmi a un solo genere musicale. La musica è talmente ricca di sfumature, colori e linguaggi che trovo naturale esplorarli e lasciarmi ispirare da ognuno di essi.
Come gli esseri umani sono unici e diversi tra loro, così lo sono anche i generi musicali — e proprio questa diversità è ciò che li rende affascinanti.
Mi piace far dialogare i generi tra loro, lasciando che si mischino e trovino spontaneamente un equilibrio: così nasce il nostro percorso musicale, che cambia e si evolve insieme a noi.
Quali sono i temi che tocchi in questo nuovo disco? Più in generale, cosa ispira la tua arte?
In Symmetry ci sono temi che riguardano l’equilibrio interiore, l’introspezione, la relazione con il tempo che passa, con le proprie radici e con chi si è diventati. Parlo di connessione, di ascolto, anche di diversità: come le esperienze che vivi e le persone che incontri ti plasmano. In generale la mia arte è ispirata da momenti quotidiani — un paesaggio, una luce, una conversazione — ma anche dalla memoria, dalla musica che ho ascoltato da bambina, dalle lingue che parlo, dalle storie che mi vengono raccontate. Mi interessa che la musica tocchi la sincerità, che suoni vera
Cosa ti unisce, artisticamente ma non solo, ai musicisti facenti parte di questo collettivo?
Quello che ci unisce, oltre al talento e alla professionalità, è un’amicizia che dura da tanti anni. C’è molta stima reciproca, ci fidiamo l’uno dell’altro e abbiamo tutti lo stesso obiettivo: fare musica vera, che ci rappresenti davvero. Non ci limitiamo a salire sul palco e suonare: condividiamo ogni fase, dagli arrangiamenti ai piccoli dettagli che rendono speciale ogni brano. Con il tempo si è creato un interplay molto solido… ma anche leggero e divertente. Ormai basta uno sguardo per capirci. E credo che questo affiatamento sia uno degli ingredienti più belli del nostro suono.
Come sono i vostri concerti? Non solo a livello di esibizione ma anche in tutto ciò che la precede, dal soundcheck al tempo passato insieme in backstage o in viaggio.
Per noi i concerti non sono solo esibizioni, ma veri momenti di condivisione e di gioia. Ogni tappa è un piccolo viaggio che facciamo insieme: dal viaggio in macchina alle chiacchiere in camerino, dal soundcheck alle risate dietro le quinte, tutto fa parte dell’esperienza. Ci divertiamo a suonare insieme e questo si sente: c’è complicità, energia, e anche la soddisfazione di crescere insieme come progetto, passo dopo passo. È bello vedere come ogni concerto ci avvicini un po’ di più, non solo come musicisti ma come persone. E la parte più speciale è quando questa connessione arriva anche al pubblico: quando ci rendiamo conto che, mentre ci divertiamo e ci scopriamo sempre nuovi, stiamo raggiungendo anche i cuori di chi ci ascolta. È una grande emozione percepire che, quando proponi musica fatta a mano, curata con amore e sincerità, le persone lo sentono e lo apprezzano davvero.
In un presente musicale che tende a seguire le mode, quasi sedendocisi comodamente sopra, dove trovi lo slancio per continuare a fare ciò che più ti piace, anche se magari lontano dalle dinamiche di mercato e quindi puramente economiche?
Per me è l’amore per la musica a essere il motore di tutto. Faccio musica perché ogni volta che la creo, che la interpreto o che la condivido, riscopro anche una parte di me stessa. È questo che mi fa andare avanti. Se si fanno le cose solo con l’obiettivo di piacere al mercato, di “fare soldi” o di adeguarsi ai gusti della massa, prima o poi ci si “disinnamora” della musica — e credo che questo si percepisca. La musica, come ogni forma d’arte, ha bisogno di verità: e questo significa anche mettersi in discussione, accettare il rischio, accogliere il cambiamento.È lì che trovo lo slancio: nel restare fedele a ciò che sento autentico, sapendo che, se nasce con sincerità, prima o poi troverà le persone giuste a cui arrivare.
Per concludere, essere donna, a tuo avviso, rende questa esperienza diversa? Nel bene come nel male? E se sì, perché?
Per molto tempo ho pensato che fosse particolarmente difficile essere donna nel mondo della musica, soprattutto in quello del jazz. Poi, di recente, un amico cantante mi ha fatto notare che, almeno tra i vocalist, in realtà ci sono molte più donne che uomini — e questo mi ha fatto riflettere. Credo che non sia tanto una questione di numeri, quanto di percezione. Per una donna spesso sembra quasi “obbligatorio” far parlare anche del proprio aspetto, del look, del lato estetico, come se questo dovesse sempre accompagnare (o addirittura precedere) la musica.Soprattutto in Italia ho spesso l’impressione che “essere belle” venga considerato una sorta di requisito, come se fosse la prima qualità da avere.E questo, sinceramente, mi dispiace: perché riduce la complessità e la profondità del mondo femminile a qualcosa di puramente estetico, lasciando in secondo piano la musica, che invece dovrebbe essere il cuore di tutto.


