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Napodano non chiede di farsi notare, ma di essere ascoltato. Le sue canzoni sono come stanze vuote in cui ogni parola trova la sua eco. Non si piega alle mode, non urla per farsi sentire. Eppure, la sua voce – ironica, malinconica, ostinata – arriva dritta al punto. È da poco uscito Storie di una sera… con poca gente”, il suo nuovo album, e in questa chiacchierata ci racconta come la rabbia si faccia ironia, come la delicatezza possa spiazzare e come si possa scegliere di restare se stessi, anche quando sembra che non ci sia più spazio per l’autenticità.

 

In “Storie di una sera… con poca gente” aleggia una malinconia che non cerca consolazione, ma piuttosto compagnia. “Il fuoco e la neve” apre l’album come una porta socchiusa: quanto ti interessa che l’ascoltatore entri in punta di piedi, anziché farsi travolgere?

 

Diciamo pure che questo album, così come il precedente, fa una cosa che va un po’ controcorrente. Spesso gli artisti oggi cercano di andare ad incontrare i gusti della massa scimmiottando magari delle hit straniere con ritmi latineggianti, testi-tormentone e acchiappa likes mentre hai ragione, questo album fa una selezione. Sceglie invece di essere scelto. Sceglie di essere ascoltato da chi decide di prestare attenzione ad un testo piuttosto che a delle parole, sceglie di parlare piano perché solo chi smette di urlare sa ascoltare un sussurro.

 

In “Di martedì” sembri usare l’ironia come antidoto alla rassegnazione. Quando scrivi, ti capita di trasformare la rabbia in sarcasmo, o è il sarcasmo a farti da miccia per andare più a fondo?

 

È dai tempi di “Storia di un Ratto” (che ho eseguito già un paio di volte sui vostri palchi!) che la verità diventa ironia e sarcasmo. Dopotutto non c’è miglior modo, secondo me, di dire una scomoda verità con un sorriso sornione e l’aria simpatica. Sì, sono arrabbiato, frustrato e pieno di idee; in qualche modo dovrò pure sfogarmi!

 

Molti tuoi brani sembrano nati da una sottrazione: suoni ridotti all’essenziale, parole soppesate. Hai mai avuto la tentazione di aggiungere di più? O senti che il silenzio, a volte, dice tutto?

 

Certo che ho sentito la tentazione di aggiungere ma spesso l’ho sentita nel momento sbagliato. Magari stavo componendo una canzone in punta di fioretto, ho avuto la tentazione di arricchire l’arrangiamento, per esempio, ma mi sono reso subito conto che stavo andando fuori tema e mi sono fermato. Non mancherà occasione di fare musiche più “ricche”, ma non era questo il momento.

 

“Carlo Conti” è una lettera aperta che riesce a essere pungente senza perdere eleganza. Credi che oggi ci sia ancora spazio per una critica che non urli, ma scavi?

 

No, non ci credo, perché urlano tutti e quando non urlano in ogni caso non ascoltano, ma non ha senso togliersi il doppiopetto solo perché sei circondato da salopette, no?

 

In “Buonanotte Luna” c’è una delicatezza che spiazza, forse perché viene da un luogo privato: la paternità. Come cambia il modo di scrivere una canzone quando non si parla solo per sé?

 

Come dicevo prima, io sono un animo rabbioso, frustrato, egoista, sarcastico e sono autodistruttivo. Quello che esce dalla mia penna rispecchia la mia persona, quando però racconto di sensazioni che rivolgo a persone che amo, tutto cambia perché esce fuori tutta la parte migliore di me, che ho riservato solo per loro. 

 

Hai dichiarato di non voler “piacere a tutti”. Ma oggi, dove sembra che chi non si espone urli più di chi lo fa, pensi che l’autenticità abbia ancora un posto — o è diventata anch’essa una forma di strategia?

 

No, come prima, non penso ci sia posto, o almeno non ci credo. Tutto gira intorno alla strategia, alle conoscenze, all’amico del produttore, all’amico di Maria, all’amico che c’ha il soldo, tutto, ed è la diretta conseguenza di una storia che abbiamo scritto almeno 30 anni fa, ma a me questo tange molto poco perché io di lavoro faccio il musicista, io già vivo di musica, non ho bisogno di piacere a tutti, non ho bisogno di vendere migliaia di dischi o di sputtanarmi per soldi. Anche se questo mio disco, il quarto, per la precisione, dovesse andare in soffitta come gli altri, domattina mi sveglierò e sarò ancora musicista, vivrò ancora della mia passione e questo non mi fa avere paure né ansie da prestazione.

 

Prossimi progetti?

Meno di due settimane fa è uscito il quarto album, la settimana scorsa è uscito il mio primo libro (Memorie di un Ratto) e ieri è uscita la versione tradotta in francese (vivo in Belgio da tanti anni, necessitavo assolutamente di una versione per il pubblico francofono), farò concerti, festival e perché no, anche aperture a concerti più grandi durante tutta l’estate e poi… come da quattro anni a questa parte, ci vediamo ad ottobre al MEI a Faenza!

 

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