Il nome Mondo BoBo nasce da un’idea semplice ma radicale: accettare le emozioni senza reprimerle.
In un panorama musicale spesso dominato dall’immagine e dalla velocità, il trio sceglie la via più autentica: quella della vulnerabilità consapevole.
Nelle loro canzoni convivono rabbia e dolcezza, denuncia e cura, rock e riflessione.
Con brani come “non torna a casa” , nel loro album “L elefante nella stanza” , i Mondo BoBo affrontano temi urgenti come il femminicidio, il disagio psicologico e la difficoltà di restare umani.
Un viaggio sonoro che unisce potenza e delicatezza, dove le imperfezioni diventano parte del linguaggio emotivo.
Il vostro nome nasce dall’idea di accettare le emozioni senza reprimerle. Oggi, in un mondo che ci chiede sempre di essere forti, quanto è rivoluzionario mostrarsi vulnerabili?
MONDO BOBO:
Mostrarsi per quello che siamo, e vulnerabili lo siamo tutti, non implica non essere forti.
Bisogna vedere poi in quale accezione ci riferiamo al concetto di “forza”… se quella usata per imporsi con prepotenza sugli altri, o piuttosto quella usata per resistere alle imposizioni esterne che minano il tessuto che definisce chi siamo.
“L’elefante nella stanza” affronta verità scomode, come il femminicidio o il disagio psicologico. Cosa significa per voi dare voce a questi silenzi attraverso la musica?
MONDO BOBO:
La musica, più che un dare voce a qualcosa o qualcuno, per noi è uno strumento di cura e di motivazione a mettere a fuoco le tematiche che ci circondano.
Sono riflessioni, pensieri a voce alta, provocazioni, per lasciare nell’ascoltatore — compresi noi stessi — un impulso a riflettere, a porsi domande e reagire nel modo che ritiene più giusto.
Sicuramente non abbiamo la presunzione di dare risposte o verità assolute.
In “Non torna a casa” scegliete tre punti di vista per raccontare la stessa tragedia. Come nasce questa scelta narrativa così empatica e corale?
MONDO BOBO:
La canzone è nata da un riff che girava e rigirava in testa e nelle mani ogni volta che veniva impugnato uno strumento…
Proprio in quei giorni, la storia di Giulia Cecchettin — purtroppo solo l’ultima in prima pagina dopo tante simili — ci ha scosso.
Da lì è nato il testo, con quella stessa coralità di punti di vista, un po’ in stile Beatles, “She’s Leaving Home”:
là la ragazza lascia la casa dei genitori in cerca del sogno d’amore, qui si parla di un incubo, senza alcuna possibilità di scelta o di tornare indietro.
Il vostro sound unisce potenza rock e sensibilità emotiva. Come avete costruito, insieme al produttore, l’equilibrio tra istinto e precisione che definisce l’identità sonora di Mondo BoBo?
MONDO BOBO:
L’identità è nata in modo del tutto spontaneo.
Mai ci siamo messi a tavolino a decidere o pensare che tipo di suono adottare.
Questo “equilibrio” è ciò che ci definisce: siamo un trio di persone completamente diverse, che si incastrano e completano a vicenda, rendendo solida l’intera figura.
Qualcuno ci ha paragonato a un “nodo borromeo” — e in effetti ci rappresenta.
Antonio Castiello, in fase di registrazione dell’album, è stato un vero membro aggiuntivo del gruppo: ha capito la nostra essenza e ha fatto scelte di suono che la esaltassero, senza sovraprodurre nulla.
Anzi, ha lasciato volutamente anche quelle “imperfezioni” che ci rendono umani.
Mondo BoBo è il suono della fragilità che resiste.
Un rock che non ha paura di sentire, di chiedere, di restare umano.


