Chi è Evelina? Perché presentarsi con questo nome pur mantenendo, in qualche modo, l’anonimato?
La scelta dell’anonimato non nega l’identità, e in questo caso è un atto di sottrazione dell’ego al solo fine di affermare la musica e la poesia. Voglio che siano le note, le parole e le visioni che vi porto a incarnare me e non viceversa. Non serviva un ennesimo personaggio, non sono qui per alimentare un’industria di produttori e consumatori di volti, di corpi ipersessualizzati che oscurano e sovradeterminano la qualità (o meno) di un disco. “Non siamo qui per stampar chiodi, ma per servire la musica” dice sempre il mio produttore puntando il dito verso l’alto. L’anonimato è solo un mezzo per andare dritta al punto, per bypassare stereotipi e pregiudizi, per lasciar deflagrare senza filtri tutta la tensione storica, politica e sentimentale che mi ha attraversata, di cui mi sento solo un tramite. Vorrei però a mia volta porre una domanda, a te e a chi legge. C’è ancora qualcunə che voglia parlare di musica e parole mettendo da parte tutto il resto? Ho ricevuto da voi giornalistə tante domande sull’anonimato e pochissime sulla sostanza del mio disco. Sembra che la musica sia diventata lo sfondo cartonato di chi la interpreta, un mero pretesto per le sue apparizioni. Siamo tuttə d’accordo che quello che conta e che resta sia unicamente la musica? Non me ne volere, ma inizio ad avere qualche dubbio.
Parliamo del concept visivo: una figura incappucciata senza volto. Cosa vuole rappresentare?
Sono un’artista multimediale, l’intero visual del disco è una mia opera, Eclissi. È questo il vero e proprio concept visivo dell’Assedio, e delle profonda connessione tra questi due progetti potrei parlare a lungo. Ma non risponderei alla tua domanda. Pare che se non hai un book fotografico non puoi presentare un disco, allora mi sono divertita a fare un po’ di avatar con l’IA, così come mi sono divertita a battezzarmi, e proseguirò questo gioco finché non salirò su un palco, poi vedremo (o non vedremo). Non sono qui per mostrarvi il lato migliore del volto che perderò, per darvi in pasto le ore che mi restano, né per addormentarvi il cuore e distrarvi la mente. Sono qui per offrirvi un dubbio, per porgervi uno specchio, perché non c’è più tempo e la marea sta salendo.
Come è avvenuto l’incontro con il produttore MuČe Čengić e in che modo ha arricchito il progetto?
Tutti gli incontri che danno forma e senso alla vita accadono per puro caso, e l’incontro con MuČe è stata una delle serendipità più decisive per la nascita di Evelina. È stato co-fondatore e chitarrista dei Zabranjeno Pušenje, la storica band punk rock che dai primi anni 80 diede vita a un vero e proprio movimento culturale nell’Ex Jugoslavia, al punto che ancora oggi è venerata. Nel pieno dell’assedio di Sarajevo, negli anni 90, fu tra i promotori del festival Rock under the Siege, iniziativa coraggiosa che si assunse l’onere di ricordare al mondo che l’arte non è intrattenimento ma resistenza e che nel cuore di una distratta e colpevole Europa (allora come ora) divampava di nuovo la guerra. Al termine di quel trauma venne in Italia e si ricostruì da zero una vita a Bologna, ricominciando a lavorare come produttore, ingegnere del suono, fonico e formatore. E a Bologna nel 2017 ci siamo conosciutə. MuČe non mi ha solo regalato il suo sapiente artigianato della musica e del suono, mi ha trasmesso il senso del suo lungo percorso e mi ha fatto comprendere l’importanza del tempo e della pazienza (anche) nella creazione, ora più che mai. Una cura tutta orientale del fare e del pensare che è divenuta il senso stesso del viaggio e del suo risultato. Tutto questo mi ha creata e ha dato un’anima a questo disco, che conta più di me.
“L’Assedio” è un album in 13 tracce. Cos’è che lega i brani più di ogni altra cosa?
La consapevolezza di vivere e testimoniare un tramonto dalla parabola feroce e secolare, ma avendo smarrito o non possedendo ancora i codici per comprenderne fino in fondo la portata, le responsabilità. Ci ostiniamo in una fortezza in rovina che ha partorito un deserto sterminato di dannatə. Uno dietro l’altro, dentro e fuori queste mura imprecise, si susseguono schianti tanto previsti quanto improvvisi. L’Assedio è un viaggio attraverso i sentimenti starati e isolati nel cuore assente di questa fortezza, pochi istanti prima di quell’ultimo prevedibile crollo che, malgrado tutto e tuttə, ci coglierà assopitə, impreparatə e stupitə. Lo scarto incomprensibile tra certezza e stupore, l’enormità incontenibile di tutti quei frammenti, si possono solo sentire, curare e restituire in una forma nuova e antica, come un kintzugi giapponese, con l’oro tra le ferite. E questa è la speranza che si porta. Il mio non è un disco per l’estate, per questo esce qui e ora.