Skip to main content

In un tempo in cui anche la musica rischia di essere solo algoritmo, “Canzone alla regina del mercato” è una scheggia impazzita.
Il nuovo singolo di Leandro Pallozzi & I Vecchi Draghi, fuori dal 7 luglio su tutte le piattaforme, è un inno punk-folk, ruvido e teatrale, che smaschera con ironia e rabbia lucida il consumismo che ci seduce e ci svuota.

La “regina” cantata da Leandro non ha volto né corona: è una forza silenziosa ma ovunque presente. Ti promette felicità, ma ti lascia più solo di prima.
Con parole taglienti, immagini evocative e un sound da tragedia popolare in tre accordi, Pallozzi firma una ballata ribelle, poetica e corrosiva allo stesso tempo.
E in questa intervista, ci accompagna dietro le quinte della sua canzone: là dove la favola si rompe e l’arte torna a farsi lotta.


 Intervista a Leandro Pallozzi

1. Nella tua “Canzone alla regina del mercato” c’è una figura femminile che incarna il consumismo moderno. Se dovessi darle un volto noto, chi sarebbe oggi la vera regina del mercato?
La “regina del mercato” non è una persona: è un sistema che si infiltra ovunque. Governa cosa mangiamo, come pensiamo, perfino come amiamo. Non ha un settore: è dappertutto.
Anche la musica – che un tempo era libertà – oggi è anzitutto profitto, algoritmo, monopolio e conformismo, guidata dal clic e dalla monetizzazione.
Se proprio dovessi darle un volto, sarebbe quello del capitalismo: un potere che si finge neutro, ma decide tutto. Decide cosa vale, cosa esiste, cosa va dimenticato.
È una favola dolce che ci addormenta. E ha il sorriso lucido di una multinazionale con la parrucca di Barbie che si fa un selfie sui social e nonostante prenda tutti in giro, ottiene una popolarità enorme… ed un numero infinito di like!

2. La tua scrittura alterna lirismo e satira sociale, senza paura di essere scomodo. Credi che oggi la musica possa ancora disturbare le coscienze?
Sì, ma solo se smette di cercare l’approvazione.
La musica che scuote non è quella che grida più forte, ma quella che dice qualcosa che nessuno ha voglia di sentirsi dire.
Oggi disturbare è raro, perché siamo immersi in canzoni che sono addomesticate a farci il lavaggio del cervello, sono scelte appositamente come strumento populista per guidare il gregge!
Ma se la musica torna ad avere coraggio, allora sì: può ancora rompere il silenzio comodo delle coscienze addomesticate.

3. Il brano ha una forza teatrale, quasi da opera popolare. Ti piacerebbe portare questo immaginario anche su un palco narrativo o performativo, tipo uno spettacolo-concerto?
Il progetto Leandro Pallozzi e i Vecchi Draghi prima di essere musicale è multidisciplinare, perché parte dall’analisi filosofica, economica e psicologica della realtà attuale e la integra con musica, teatro, danza e ogni altra forma di arte.
Quindi, questa canzone è già una scena, una figura, un’illusione che si spezza.
La porteremo sul palco come fosse una piccola tragedia popolare: con luci, rumori di mercato, suoni sporchi e voci corali.
Un concerto che diventi racconto. Una favola che si svela come inganno, davanti a un pubblico che ride e riflette insieme sulla relazione tra arte e verità!

4. “Mi hai detto che la gioia qui si compra un po’ al chilo”: qual è la cosa più inutile o assurda che ti sei ritrovato a comprare, proprio mentre cercavi di essere felice?
Una bilancia digitale “intelligente”.
Doveva aiutarmi a trovare l’equilibrio, a controllare il corpo e la mente.
Alla fine pesava solo le mie insicurezze.
È lì che ho capito che la felicità non si misura, e soprattutto non si compra – neanche in offerta.

ASCOLTA IL BRANO QUI

Lascia un commento