Dare un nome proprio a un collettivo musicale è una scelta particolare, ma per alessandro fiore è un atto di identità e condivisione. Il loro progetto nasce dall’incontro tra il cantautorato italiano anni ’70 e atmosfere psichedeliche moderne, fondendo nostalgia e sperimentazione in un sound che racconta la malinconia nascosta nelle grandi città e nella provincia.
Il nuovo singolo, “Sei l’America quando chiudo gli occhi”, è un viaggio tra sogno e disillusione, un’America immaginata e poi rivelata per ciò che è. Abbiamo parlato con loro per scoprire di più sulla loro visione artistica e sulle influenze che hanno plasmato il loro universo musicale.
Il vostro nome, “alessandro fiore”, sembra dare un’identità unitaria a un collettivo musicale. Cosa significa per voi questa scelta? È una metafora della vostra visione artistica?
“L’idea di dare un nome proprio a un collettivo di persone nasce dalla volontà di abbattere le barriere dell’identificazione. “alessandro fiore” non è il nome di un individuo, ma rappresenta tutti noi, ognuno dei quali, in determinati momenti, si sente “alessandro fiore”. Quindi sì, è una metafora che riflette non solo la nostra visione artistica, ma anche le nostre emozioni, da quelle più intime e semplici a quelle più universali e complesse.”
“Sei l’America quando chiudo gli occhi” ha un titolo evocativo e sognante. Che immagine volevate trasmettere con questo brano? L’America è più un’idea, un sogno o una fuga?
“L’America è idealizzazione, all’inizio. È il sogno di una condizione migliore, il desiderio di vivere in una grande città. Ma, man mano che il brano si sviluppa, la grande città-America si trasforma in una prigione dorata: un sogno che diventa sempre più distante dalla realtà. Così, l’America diventa anche la consapevolezza che, se rimani troppo a lungo in un sogno, rischi di perdere te stesso.”
La vostra musica nasce dall’incontro tra il cantautorato italiano anni ’70 e le atmosfere psichedeliche di band come Tame Impala e Beach House. Come avete trovato questo equilibrio tra vintage e futuro? E quali artisti italiani sentite più vicini al vostro percorso?
“In realtà è avvenuto in modo così naturale che non ce ne siamo nemmeno accorti. Non ci siamo dati reference precise, abbiamo vissuto la scrittura alla giornata, lasciandoci trasportare. Ovviamente, in modo inconscio, nei nostri brani ci sono tutti i nostri ascolti di musica italiana: Dalla, Battisti, Carella, ma anche il Rino Gaetano di “Mio Fratello È Figlio Unico”.”
Nel comunicato scrivete che la vostra musica racconta “gli angoli nascosti della provincia e delle grandi città piene di malinconia”. Quanto c’è della Puglia nel vostro sound e nei vostri testi? E quanto invece del mondo che immaginate?
“100% reale = 100% immaginario. Tutto ciò che vediamo e viviamo viene inconsciamente messo nel calderone dell’immaginazione, compresa la Puglia, che a volte purtroppo viene vista solo come provincia d’Italia. Le abbiamo anche dato un nome, ma… niente spoiler per ora.”