“What I Felt” – il nuovo progetto pianistico tra suono, materia e sentimento
Con “What I Felt”, Francesco Maria Mancarella torna a esplorare il confine tra musica e sensazione, tra gesto e silenzio. Un titolo che gioca sul doppio significato di felt — “feltro” e “sentire” — e racchiude l’essenza di un esperimento sonoro unico: un pianoforte preparato con feltri diversi, capace di restituire un suono ovattato, caldo e intimo.
Compositore, direttore d’orchestra e artista visivo, Mancarella continua a muoversi in un territorio dove la musica diventa linguaggio interiore, pittura e introspezione. In questa intervista, ci racconta il cuore del progetto, il rapporto con lo strumento e la costante tensione tra emozione e tecnica.
INTERVISTA
“What I Felt” nasce da un esperimento sonoro unico: il pianoforte preparato con feltri diversi.
Come è nata l’idea di modificare lo strumento e che tipo di emozione cercavi in quel suono ovattato e intimo?
Con probabilità non sono l’unico, ma certamente quando una cosa è nuova per noi, è sempre unica! È questo pensiero che rende libera la mia vena creativa: deve essere unico per me.
Avevo voglia di suonare con uno strumento preparato per accogliere le sonorità che ricercavo: reverberi, profondità sonora, ma anche un suono caldo e dolce che potesse accompagnarsi a un momento di tranquillità.
Il titolo gioca sul doppio significato di felt — “feltro” e “sentire”.
Quale delle due dimensioni ha guidato di più la tua scrittura: la ricerca tecnica o quella emotiva?
La ricerca emotiva guida la ricerca tecnica. Non è lo strumento fisico che comporta la scelta del paesaggio sonoro: è l’idea dell’emozione che voglio evocare a portarmi a modificare i suoni, digitali e acustici, per ricreare quell’idea emozionale.
È più difficile mettere insieme le idee che mettere insieme le note.
Nel tuo percorso hai sempre unito musica e immagine, come nel progetto Il pianoforte che dipinge.
C’è una connessione anche visiva in questo nuovo lavoro o il focus è interamente sull’ascolto?
Il pianoforte che dipinge non è altro che un prolungamento del mio essere. Non è un oggetto: è un amico, un confidente. La sua storia è intrecciata alla mia, perciò è sempre all’interno del mio progetto musicale.
In questo lavoro, mi aiuterà a potenziare l’espressività visiva durante i miei prossimi concerti.
Dopo aver diretto grandi orchestre e collaborato con artisti come Alessandra Amoroso, cosa rappresenta per te “What I Felt”?
È un ritorno alle origini o un nuovo punto di partenza nel tuo linguaggio musicale?
L’esperienza sanremese è stata una delle più belle e importanti della mia vita. Nonostante questo, non ho mai voluto abbandonare il mio percorso musicale: ogni esperienza diventa un tassello per ampliare le mie possibilità artistiche.
Ogni album è un nuovo punto di partenza, senza dimenticare la strada da cui si arriva. Serve per non perdersi. What I Felt è il disco che più mi rappresenta in questo momento: una fermata lungo la via, che spero possa essere lunga e piena di occasioni per crescere e migliorare.


