Si intitola “Strategia Esoterica” questo nuovo suono di DECA. Federico De Caroli giunge così al suo ventiduesimo disco di composizioni inedite qui, di nuovo ormai come da abitudine, sfioriamo la visione altra non solo del suono quanto della forma. L’elettronica si fonde con il misticismo, la simbologia alchemica, la ritualità… sono pattern, sono ricami, sono quadri: ecco la parola che mi piace utilizzare. Sono quadri. Si cade dentro momenti di buio per inseguire una luce tutta nostra…
Che momento della carriera è questo per te? Come si arriva al ventiduesimo disco, con quale fame di nuovi suoni e nuove frontiere?
Stavo pensando proprio in questi giorni, alla soglia del mio sessantesimo compleanno, che quasi mi stupisce aver pubblicato tanti titoli. Lo penso perché in certi periodi della mia carriera sono passati anche cinque anni tra un album e l’altro. Eppure siamo a quota ventidue e in più ci sono un sacco di produzioni antologiche, ristampe di inediti, raccolte di musiche per il cinema. Prendo atto di essere un autore eclettico e prolifico, come ha ben sintetizzato in un’intervista un giornalista americano. Eclettico e prolifico, dunque votato a lasciarsi alle spalle un produzione ipertrofica. La fame di sperimentare ed esplorare non si esaurisce, comunque. Anzi, credo che proprio aver lasciato coesistere vari filoni di produzione mi dia la possibilità di non chiudere mai il cerchio. Di non rischiare l’auto-plagio, come accade a certi artisti. Compongo musica su più fronti (cinema, televisione, teatro, multimedia, musicoterapia) e questo è uno stimolo costante a non impigrirsi, a non lasciare intentate nuove soluzioni. Anche per questo non saprei dirti che momento della mia carriera è. Non faccio bilanci, ma guardo ancora avanti, con un’urgenza di continuare a sperimentare.
Riascolti mai il tuo primo lavoro? Che effetto ti fa e che cosa ancora ritieni valido al punto di portarlo ancora con te?
Il mio album di debutto (Alkaid – ed. Videoradio) risale al 1986, dunque sono passati quasi quarant’anni da quando entrai in studio per produrre quel primo vero disco. Le tecniche di registrazione di allora erano quasi completamente analogiche e molto artigianali, se paragonate a quelle odierne. Si suonava tutto a mano, ogni singola parte. Si programmavano effetti e ritmiche, ma era una procedura artigianale anche quella. Ecco perché, vista la mia inesperienza sul campo, le tracce dell’album sono piene di sbavature e difetti. I pezzi non erano male, rispecchiavano i miei punti di riferimento di allora: Jean-Michel Jarre, Vangelis, i Tangerine Dream. Infatti è un concept album a tema cosmico, con nomi di stelle e atmosfere spaziali. Nel complesso aveva una base di buone idee, belle melodie, suoni coinvolgenti. Ma col senno di poi ci sarebbero da limare e sistemare varie cose. Inclusa la grafica di copertina, così minimale da sembrare una bozza. C’è da dire, comunque, che sul mercato collezionistico quel vinile ora vale un sacco. Una copia in buone condizioni ormai viene pagata non meno di 200 euro.
E che momento della vita è questo per Federico De Caroli che si spinge ad indagare l’esoterica strategia dell’esistenza?
Quando ho enucleato il titolo di questo album mi sono chiesto se non ci fosse una contraddizione di fondo nell’accostamento tra Strategia ed Esoterismo. Normalmente suonano antitetici, o comunque appartenenti a due dimensioni diverse. La Strategia è associata alle sfide, alle battaglie, allo sport, al gioco. L’Esoterismo è una sfera di pensiero e cultura più vicina al magico, all’occulto, alle linee trasversali della conoscenza. Eppure, alla fine, è diventato un titolo attraente che ha messo in atto riflessioni inattese. In tal senso l’immagine della copertina ha voluto mediare in modo emblematico il concept che sta alla base dell’opera: una figura arcana, panica, luciferiana che domina un’immensa scacchiera; e la domina di spalle però, perché non ha bisogno di guardare. Nel contempo è anche una chiave allegorica della mia condizione esistenziale attuale. Mi sono spinto sempre avanti, senza mai tornare sui miei passi. Consapevole di quello che mi sono lasciato alle spalle e di ciò che ci ho costruito sopra, ma senza dovermi continuamente voltare indietro. Consapevole che la vita è una partita a scacchi, ma non su una scacchiera regolare da 64 caselle. La scacchiera è teoricamente infinita.
Realizzare questo disco ti ha lasciato emancipare concetti e conoscenze o è stato soltanto un esercizio di stile?
Gli esercizi di stile non mi appagano. Anche quando devo scrivere musica su commissione in genere mantengo attiva la vena creativa, cerco di non rimasticare idee già collaudate mettendoci una nuova bella veste. Mi svilisce non poter cogliere l’occasione di sperimentare qualcosa di inedito. Poi quando si tratta di album in studio, ovvero di progetti che nascono da un nucleo concettuale, da un’ispirazione solida, il vero piacere e la vera sfida sono riuscire a coniugare la musica con il materiale culturale del concept medesimo. Con opere come Lucifero Alchemico o Strategia Esoterica il verbo emancipare è molto calzante, tra l’altro. L’ambiguità ovvero l’equivoco che il pregiudizio può generare rende delicato tutto il processo creativo. Si toccano in modo palese temi legati alla tradizione esoterica che si prestano a interpretazioni non sempre pertinenti. Simbologie e iconografie raccontano soprattutto un mio percorso personale, toccano una sfera di interessi che coltivo da lungo tempo. E la musica sublima questo percorso di volta in volta, attingendo molto più dal subconscio che non da una visione razionale e preordinata delle cose. Anche perché il mio è un percoso iniziatico vero: quando parlo di alchimia non è in modo metaforico.
Un video… un docufilm… una manifestazione di tutto questo suono in direzione materica?
Per vari miei album, nel tempo, ho realizzato dei piccoli clip prevalentemente astratti che restituissero una sorta di materia del suono. Senza voler rappresentare qualcosa di delineato, di narrativo. Piuttosto delle suggestioni visuali che avessero le stesse vibrazioni della musica. E questo è stato molto funzionale anche per i concerti dal vivo, proiettando questi quadri dinamici su grande schermo. In passato avevo tentato la strada del videoclip tradizionale, a soggetto, ma lì se non hai mezzi adeguati e un team di produzione capace finisce che fai cose dilettantesche e imbarazzanti. Meglio dare materialità al suono con cromatismi e luminescenze. O usando acqua e fluidi vari. Poi se parliamo di docufilm concordo che potrebbe avere un risvolto interessante, ma forse più per gli addetti ai lavori che per il pubblico. Perché io uso metodologie trasversali per comporre e registrare la mia musica. Un mix di tecnologico e artigianale che tende a spremere al massimo ogni mezzo disponibile, spesso in maniera poco ortodossa. Il processo di creazione ed elaborazione del suoni ogni volta si rinnova e ha risultati imprevedibili. Ma ripeto: sarebbe a beneficio degli addetti ai lavori, credo. Noioso per chi invece ama immergersi nell’ascolto senza scavare a ritroso su come è nato il tale brano.
https://open.spotify.com/intl-it/album/1iknvDIgQ1q4VrR0RqFVjv?si=zqU4TCpxQSOQd1C1r0ti8g
Deca alla soglia dei 60 anni non finisce di stupire e meravigliare. Anche per un non addetto ai lavori l’ascolto dei suoi brani porta inevitabilmente ad immergersi in suggestioni e visioni inesplorate. Non basta certo il primo ascolto per trovarsi immersi nei mondi che la sua mente e la sua cosmica curiosità dipingono con spiazzante lucidità, ci devi arrivare per gradi. Ma quando capisci e “vedi” diventi consapevole di essere di fronte ad un genio assoluto.