Sono nove gli inediti di Moonchild, il nuovo disco de Le Astronavi, un “collettivo” guidato da Gianmaria Rocchi (voce dei punk Hiroshima e del collettivo rap Peggioklasse) e dalla videomaker Stefania Carbonara. Il lavoro è un viaggio tra Aleyster Crowley, Jack Parsons e il mito dell’occulto, un’opera che cerca di liberare forma e parola. Moonchild si distacca dal perbenismo del pop e dell’indie, abbracciando un Glamrock dai contorni psichedelici e una visione musicale corale.
Abbiamo parlato con Gianmaria Rocchi per approfondire i temi e le ispirazioni dietro il disco.
Come sei approdato ad Aleyster Crowley, una figura decisamente controversa?
“Uno dei motivi per cui Crowley è ancora letto e studiato è il suo essere difficilmente classificabile tra buoni e cattivi della storia. Anni fa, leggendo la sua biografia, sono rimasto affascinato. Poi, durante una vacanza in Sicilia, ho visitato ciò che resta dell’ex Abbazia di Thelema, dove Crowley cercò di irradiare la sua dottrina prima di essere espulso da Mussolini. Questo luogo mi ha ispirato, anche se nell’album Crowley è citato solo marginalmente, mentre altri personaggi come Jack Parsons hanno un ruolo centrale.
Io e Stefania volevamo raccontare qualcosa di lontano dalla quotidianità e dalla malinconia che spesso permea l’indie e il pop italiano. E così è nata una magia, quella magia con la ‘k’ finale che distingue Crowley dagli illusionisti.”
Da Crowley al “pop” italiano, come avviene il passaggio?
“Nonostante il mio background sia legato a generi diversi, ho sempre amato la musica surf e volevo cimentarmi. Questo progetto, ambientato in gran parte in California, sembrava l’occasione giusta. Tra le curiosità che mi hanno spinto in questa direzione, c’è una teoria secondo cui il frutto del Babalon Working di Parsons sarebbero stati proprio i Beach Boys.
Ovviamente Moonchild non è un disco surf, ma include molte influenze del mio background, come Fred Buscaglione o Fabrizio De André. La collaborazione con strumentisti per gli arrangiamenti ha ampliato notevolmente i paesaggi sonori rispetto ai nostri precedenti lavori, più legati all’elettronica.”
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Vista la profondità tematica, perché un disco e non una suite strumentale come “Hyper Chaos” o “Magia del popolo”?
“La musica di per sé può essere un atto magico se creata con consapevolezza. Tuttavia, il mio approccio è più vicino a quello di un illustratore di copertine di fumetti che a un pittore astratto. Per esempio, per Hyper Chaos mi sono ispirato al fumetto Invisibles di Grant Morrison, sia per il testo che per il videoclip.”
Questo disco fa più contestazione o più critica?
“Direi critica, ma non è l’obiettivo principale. Le storie di Moonchild vogliono aprire varchi più che costruire barricate. Ho sempre percepito che il potere fosse visto come un male assoluto, ma chi lo temeva ne è rimasto escluso. Le storie di questo album parlano di persone potenti perché hanno acquisito strumenti per decidere della propria vita, e il pensiero magico è uno di questi strumenti.”
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