Si fa velenoso ma sempre con toni romantici, si fa accusatorio ma sempre con modi poetici, in relazione comunque al peso che si ha dentro una forma canzone. Tutto molto popolare, provocatorio come ma senza violenza e rabbia, come dentro “Canzone da Muri”, uno dei singoli estratti. Jacopo Perosino è certamente figlio ma non vittima e schiavo di questa società. E sa come cantarci il suo diniego o comunque il suo punto di vista. “Estramenia” in fondo è come voler raccontare se stessi come fossero ben altre persone diverse da noi a farlo…
Nuovo disco, che poi significa anche nuovo momento di vita. Per te che momento è? Cosa sta accadendo alla tua musica e al tuo suono?
Personalmente è un momento felice, lo stesso forse non si può dire del mondo che abito. Cerco musica che non sia schiava del presente perché mi piace scrivere canzoni che derivino da un processo di storicizzazione, di digestione di tutto ciò che è reale (cronaca, storia) per lavorare con il Vero (messaggio, narrazione). Insomma è l’esatto opposto di ciò che farebbe un buon giornalista o uno storico.
Sono un modesto cinefilo e, da questo punto di vista, l’autore di canzoni e il regista ricercano la stessa cosa.
A me piace cantare nel presente, rifuggendo l’autobiografia o la cronaca.
La parola torna centrale. Come ne “La rivoluzione terrestre” che quasi non ha melodia. Eppure siamo in un tempo che non mette più al centro la parola in quanto messaggio e letteratura o sbaglio?
Forse la parola non ha mai avuto così tanto potere proprio perché si cerca di limitarla. La censura è un processo calato dall’alto, mi sembra invece che questo tempo viva di semplificazione che è poi una forma di autocensura popolare. Non c’è mai tempo, l’attenzione cala e allora semplifichiamo tutto. Oramai viviamo, parliamo con non più di 50-60 lemmi. Per fortuna le nuove leve, in campo musicale, la usano eccome la parola, basta soffermarsi sui loro lavori. Qualcuno, come ad esempio Madame o Thasup, addirittura inventa nuovi linguaggi.
Dal Piemonte in Sicilia: come arrivi a Colapesce? E che buona scusa è per raccontare la vita di tutti i giorni?
Io non ho origini siciliane ma la Sicilia mi ha adottato ormai quasi trent’anni fa. Questo mi ha dato modo di toccare con mano le contraddizioni che caratterizzano questa splendida terra. La leggenda di Colapesce me la raccontò un abitante di un paese di provincia di Messina dove ho passato tutte le estati della mia infanzia. Il coraggio e l’amore verso la propria gente di questo personaggio, finanche a spingersi al sacrificio, mi ha ricordato figure come Falcone, Borsellino, Peppino Impastato e tutte le altre vittime di sistemi mafiosi.
E poi la storia dentro “Garofani Rossi”. A questa come ci arrivi e perché ti ci fermi? Che significato porta con se?
Garofani Rossi parte da una poesia omonima di Louise Michel, comunarda di stampo anarchico e maestra tra le principali protagoniste della Comune di Parigi del 1871. La storia di questa esperienza ha subito una forte censura per anni da parte della “storiografia canonica”. Credo sia stato a causa della bellezza del messaggio libertario che portava. I prodromi del movimento femministra nascono da lì: un’esperienza nella quale le donne pretendevano assoluta parità e dignità, nel lavorare, nel parlare, nell’amare e nel combattere. Vedendo cosa accade in questo presente, mi pare un concetto inaspettatamente attuale. Non lo pensavo mentre registravamo il brano ma può capitare quando si lavora di sussunzione, quella storicizzazione di cui parlavo prima.
Ispirazioni e riferimenti? Questo nuovo disco di Perosino a chi deve e che cosa…?
Deve ispirazione letteraria al Libro degli Abbracci di Eduardo Galeano, a I giorni della Comune, testo teatrale di Bertiold Brecht, agli scritti di Louise Michel, a Due Camere a Manhattan di Simenon (se fosse ambientato a San Salvario), a Rabbia Proteggimi di Eddi Marcucci; ad alcune suggestioni visive di Jim Jarmush, alla street art e, più in generale, a tutti i muri del mondo. Musicalmente ognuno di noi ha tanti maestri, a volte ci facciamo pace e altre li cacciamo. Oltre ai miei maestri in questo disco ci sono anche citazioni volute (azzarderei tributi!) agli anni Novanta e alla potenza comunicativa che sentivo nella forma canzone: quel fascino e identificazione politica e culturale che aveva per noi adolescenti del tempo.
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