Febe ci porta nel cuore della sua nuova creazione musicale, “What if”. Il singolo, distribuito da Joseba Publishing, è un viaggio nell’anima della cantautrice, un mondo di pensieri intrusivi, dubbi, depressione e problemi di fiducia. Condividendo con noi la sua storia e il suo processo creativo, l’artista ci offre uno sguardo privilegiato sul significato e l’ispirazione dietro questa canzone.
Ci racconti com’è nato il tuo amore per la musica…
Ho sempre amato la musica, fin da quando ero molto piccola mi mettevo a disegnare e mi inventavo le canzoni sui personaggi che raffiguravo, poi in quarta elementare ho iniziato chitarra e nel 2016 a prendere lezioni di canto dalla mia insegnante Luisella Sordini, che è una grande professionista e mi ha tirato fuori una voce che si vergognava a sbocciare. Per tutta la vita la musica è stata una colonna portante, mi ha salvata tante di quelle volte che non riesco più a contarle.
Qual è stato il momento più importante o gratificante della tua carriera musicale finora?
Lavorare a questo EP è stata decisamente -per adesso- la parte più bella della mia carriera. È stato liberante e divertente, ma non vi nascondo che ho faticato a guadagnarmi i soldi per produrlo, girare i videoclip, le foto, la promozione. Non potevo far gravitare tutte queste spese sui miei, già ne fanno troppe per me! Ho lavorato in posti di lavoro che non erano il massimo pur di racimolare qualcosa, ma almeno ne è valsa la pena.
Vuoi raccontarci di cosa parla il tuo nuovo singolo “What if”?
What if parla di depressione, la mia in particolare, perché ne ho sofferto per molto tempo. Questa canzone ha qualcosa di speciale e autentico per me perché mi mostro vulnerabile e mi mette a nudo tutte le volte che la sento. Quando si passa un brutto periodo, spesso si nega come ci si sente perché magari ti porti dentro questo malessere da tempo e ti sembra quasi una parte normale delle tue giornate, ne diventi impassibile, ma poi inevitabilmente giunge la goccia che fa traboccare il vaso e i pensieri intrusivi hanno la meglio e quindi ci si fanno domande su domande: ma sarò abbastanza? Ma perché sono sempre sola? A qualcuno importa realmente di me? A me stessa importa di me?
Il videoclip di “What if” ha un’atmosfera incantevole e sembra avere una forte simbologia. Puoi spiegarci il significato dietro le immagini e il filo del microfono?
È stato un lavoro di gruppo e certo, io ho dato le direttive iniziali e ho spiegato il significato che doveva avere per me alla mia squadra, composta dallo staff del Blair Witch House Studio e la fotografa Laura Viaggi, senza di loro non sarebbe venuto fuori questo bel prodotto finale.
Abbiamo registrato il videoclip (che trovate su YouTube) in due giornate: una in giro per Firenze e una a Lido di Camaiore in Versilia, volevamo dargli questo aspetto un po’ sognante e meditativo, così come lo è la canzone. Il microfono è una metafora: la musica come unica cosa a cui aggrapparsi per provare a uscire da un brutto periodo e per non rinunciare a vivere.
Quanto è importante per te trasmettere emozioni al pubblico?
Tantissimo, secondo me la musica autentica che esprime qualcosa di profondo arriva alla gente più di un tormentone, magari non avrà miliardi di streams ma farà sentire le persone capite, meno sole. Se la mia musica è capace di abbracciare le persone che la ascoltano, allora ho raggiunto il mio obiettivo.
Hai già in programma altri brani o hai pensato ad un album?
Ho pronto un EP che uscirà presto, si chiama Drowning, ed è composto da cinque canzoni tutte di generi abbastanza diversi tra loro, unite da un’unica tematica che mi sta a cuore: la salute mentale, la solitudine, l’ansia e l’arte come terapia. Presto usciranno altri brani, uno ogni mese, posso spoileravi che il prossimo singolo uscirà il 27 ottobre e si chiama is this living life? È molto più arrabbiato rispetto a what if, ma come ho detto, volevo provare più generi perché sono solo all’inizio e perché non voglio neanche fossilizzarmi su uno solo. Voglio essere versatile.