Si intitola “Spin of Synth” il nuovo progetto strumentale e di ricerca a firma di Daniele Sciolla, scienziato del suono come ama definirsi, ricercatore e producer. Un progetto privo di forma e di appigli quotidiani, anzi potremmo decisamente definirlo come testimone di una nuova avanguardia digitale. Daniele Sciolla ricerca a spasso per l’Europa macchine decisamente rare e poco conosciute e poco utilizzate e a queste affida la sua scrittura. Una stessa partitura che poi viene edulcorata e interpretata a seconda dello strumento scelto. Ne vien fuori una raccolta di brani che troviamo quasi esclusivamente su bandcamp a questo link https://ellirecords.bandcamp.com/album/spin-of-synth che sembrano destrutturare le abitudini certamente, ma anche quel senso del suono, del tempo, del gusto. Avanguardia pura… detto questo, serve a poco ogni tentativo di descrizione. Che ognuno si lasci trasportare ovunque pensi sia opportuno…
Interessante la ricerca di macchine rare. Ce lo racconti?
L’età media delle macchine che ho registrato è di 40 anni circa. Ognuna nella sua storia ha viaggiato, è stata suonata da diversi musicisti, è salita su palchi, ha registrato dischi. Queste macchine hanno una forte personalità data dalla loro storia, oltre che dal costruttore e dalle componenti.
Nei diversi viaggi che faccio cerco su blog, maps, chiedo ad amici se ci sono studi, sale prova, synth café ecc dove poter lavorare su sintetizzatori. Negli anni ho trovato In.Sintesi a Torino, che purtroppo ora è fermo, e lo SMEM a Friburgo (CH),città nella quale tra l’altro ho studiato Matematica per un anno .. ma allora lo SMEM non c’era ancora.
Il synth più raro che hai trovato? E sono macchine che hai solo utilizzato o che in qualche modo riporti a casa?
Quello che più mi è piaciuto è il System 100m della Roland. Il più raro che ho trovato invece direi il Clavessin Electric (1759), di Jean-Baptiste De Laborde, un Electric Harpsichord. Funzionava con l’elettricità statica: un martelletto collegato a un tasto veniva attratto e respinto da una campana all’interno della quale si creavano campi positivi e negativi. Entrambi allo SMEM.
Normalmente i synth che trovo in giro non possono essere portati in studio, quindi prenoto delle sessioni e ci lavoro fino a registrare il necessario. Raramente ho portato qualcosa da me.
Nel mio studio ho già diverse macchine che utilizzo tantissimo, tra cui la mia preferita in assoluto: il Jupiter 6 della Roland.
Ha senso parlare di Synth europei? Secondo te esiste una geografia che determina anche il suono?
Assolutamente! Dall’Europa provengono moltissimi sintetizzatori. Anche dall’Italia stessa: a partire dalla storica Generalmusic con gli Elka Synthex e dalla Farfisa, fino ad arrivare ai più recenti Frap Tools (modulari). In Germania la Dopfer è un pilastro dei synth modulari, poi ci sono Verbos, Waldorf, Quasimidi, Wolfgang Palm (PPG) e pure la Behringer, che sta sfornando una quantità impressionante di riproduzioni di synth storici analogici a prezzi bassissimi.
Ma anche in Svezia ci sono Teenage Engineering, Elektron e Clavia (i vari Nord), o in Francia l’Arturia.
La geografia un po’ influenza il suono, in altri ambiti magari questa cosa è più evidente, ma anche nei synth comunque ogni produttore ha cercato di dare il proprio stile, influenzato anche dalla cultura del proprio paese.
Un nuovo disco che deve molto alla ricerca e alla sperimentazione. Stravolge la forma e le abitudini. Cosa cerca secondo te? E cosa ha trovato?
Guarda innanzitutto a una libertà mia: liberarmi da quello che sono abituato a fare. Questo disco cerca di meravigliarmi, di trovare gioco e allontanamento dalla routine, fuori dalle risposte automatiche, dai canoni che ci rassicurano perché universalmente accettati.
Slegarsi dal live, dai contesti in cui la musica potrebbe essere utilizzata e fare un disco indipendente, in quanto opera d’arte.
Direi che sono soddisfatto di quello che ho trovato, quindi ha trovato quello che cercava.
Oggi possiamo ancora parlare di avanguardia? E che forme ha secondo te?
Si certo. Se il confine tra arte/non arte e musica/non musica è stato ampiamente battuto nel 900 – per esempio con 4’33” di Cage o con il poema sinfonico per 100 metronomi di Ligeti – non vuol dire che le avanguardie non abbiano altre ramificazioni da sviluppare e percorsi da scoprire.
Per me si tratta di un qualcosa simile allo spazio, che non ha fine.
Oggi c’è una maggior frammentazioni delle correnti: come un fluido che riempie ogni singola fessura o un gas che permea gli spazi.
La “forma” dell’attuale avanguardia la paragonerei un po’ ai “Soffi” di Penone.