Si intitola “Maqroll” questa nuova opera di canzoni inedite a firma di un cantautore genovese, figlio di quella che lui definisce una “tradizione” più che una scuola che vede in Faber forse il più famoso esponente. Ma certamente le radici sono altre oltre quelle famose… e “Maqroll” definisce qui anche una personale avventura nel suono con queste preziose collaborazioni firmate da Raffaele Rebaudengo degli GnuQuartet e Filippo “FiloQ” Quaglia che impartiscono al tutto anche una direzione attuale, digitale e visionaria all’occorrenza per questo disco che invece poggia solide basi sul suono suonato, su un antico mestiere artigiano di parole e di note, di intenzioni e di fragilità tutte esclusivamente umane. E poi compare con sostanza ed eleganza determinazione l’elettronica che in tutto e per tutto disegna il dondolio delle onde che è essa stessa colonna portante nelle avventure del gaggiere narrato da Alvaro Mutis, nucleo fondante di tutta la narrazione. Canzoni di cantautore fuori tempo, artista “novecentesco” come qualcuno lo ha definito… e poi sottolineiamo come l’opera “Maqroll” è disponibile all’interno di un libro, un incontro di scrittori, poeti, illustratori e fotografi protagonisti di un’antologia in cui ognuno ha contribuito a questo racconto di viaggio, definito “La ballata dell’incollocabilità”. E poi, non ultimo, “Maqroll” è anche uno spettacolo di narrazione e canzoni diretto da Sergio Maifredi e prodotto da Teatro Pubblico Ligure, tra simbologie e ragionamenti sulla condizione umana, tra personaggi della letteratura marina e allegorie d’autore.
Ragioniamo su “Maqroll” e lo facciamo con un cantautore che ancora oggi tiene viva una “tradizione” che durerà fatica a restar viva e contemporanea oggi che la semplificazione del tutto è divenuta una cifra stilistica inevitabile e dissacrante.
Qualcuno ti ha definito uno dei pochi eredi di una certa scuola genovese. Come ti rapporti a questa “responsabilità”?
Più che “scuola genovese” la definirei “tradizione genovese”, perché in realtà una vera “scuola” non c’è mai stata. Mi fa piacere, perché sono legato a Genova e mi sento genovese nonostante viva a Torino da più di vent’anni e perché per raccogliere un’eredità così bella e, permettimi, anche un po’ ingombrante, devi avere spalle larghe e, tendenzialmente, meritarlo. Per cui, se qualcuno lo dice, sono contento.
Anche in questo disco sono inevitabili i legami a Faber. Fosse solo per queste liriche che richiamano una stessa radice a Mutis. Che antica conoscenza avevi con lui?
Ho avuto modo di incontrare De Andrè in alcune occasioni e ho dei ricordi molto piacevoli, ma credo che il legame con Faber in questo disco stia solo in un filo rosso che lega le parole di Mutis dalla splendida “Smisurata preghiera” al mio racconto di viaggio. È evidente che, da genovese e scrittore di canzoni, la presenza di un tale gigante possa manifestarsi (ho peraltro portato in giro per anni uno spettacolo a lui dedicato, in cui raccontavo appunto le esperienze degli incontri che abbiamo avuto sin da quando ero molto piccolo, in quanto conosceva piuttosto bene mio padre), ma i miei primi e principali riferimenti musicali sono altri.
E poi l’acqua fa il suo ingresso nel disco, come “suono” ma anche come elemento portante dentro cui galleggia ogni senso. Che poi l’acqua è parte integrante della tua terra… nel suono come l’hai descritta?
È esattamente così. Questo è un disco sospeso a pelo d’acqua, sia come ambiente sonoro (grazie al prezioso uso dell’elettronica di FiloQ, uno dei due produttori artistici insieme a Raffaele Rebaudengo degli GnuQuartet) che come elemento narrativo. L’acqua che può essere al tempo stesso salvezza e naufragio. L’acqua che per me, nato a duecento metri dal mare, rappresenta quell’inquietudine quieta che mi porto addosso da sempre, nella vita, nelle relazioni personali e sentimentali e nella scrittura.
La metafora del gabbiere Maqroll nella vita di tutti i giorni? Stiamo navigando dentro le ossessioni o siamo ormai sconfitti dalle nostre stesse ossessioni?
Ne “La ballata dell’acqua” il cargo del gabbiere Maqroll incontra, in uno scherzo temporale, il Pequod del capitano Achab. Sono due modi di interpretare la vita completamente diversi uno di fronte all’altro: da una parte la “disperanza” di Maqroll, quel senso di accettazione degli avvenimenti, quella sicurezza in un destino finale, ordinato e provvidenziale in cui ogni cosa trova la giusta collocazione; dall’altra Achab, il cui destino è segnato dall’ossessione della vendetta, che lo porterà alla inevitabile catastrofe.
Sono due aspetti diversi del naufragio, ed entrambi fanno parte dell’essere umano e del suo viaggio esistenziale.
E poi questo video… la ricerca non si è limitata alla scrittura e alle opere letterarie…
Del video sono molto contento perché la Fondazione dell’Archivio Storico Ansaldo, un luogo che definirei magico, mi ha concesso di utilizzare documenti e immagini di straordinaria bellezza e suggestione. Nel video c’è la cronaca di una vacanza sul piroscafo Roma nei primi anni Trenta e, grazie al montaggio di Andrea T, all’allegria e alla spensieratezza che pervadono i turisti a bordo, si contrappone un senso di tensione per qualcosa di imminente e drammatico che potrebbe accadere, ma tutto, come nel disco, resta lì, sospeso.