Tommy Kuti torna con “Big Boy”, brano che celebra il suo passaggio da giovane pieno di dubbi in una piccola città a uomo consapevole del proprio valore. Tra ritmi afrobeat, riferimenti culturali sincere e flow potente, l’artista racconta a MEIweb come ha trasformato le sue radici in un superpotere.
Con “Big Boy” Tommy Kuti firma un pezzo carico di energia e significato, anticipando il suo prossimo progetto. Scritto tra Milano e i ricordi d’infanzia in Nigeria, il singolo è un inno alla resilienza e all’orgoglio personale: un viaggio che parte da uno zaino pieno di sogni e arriva alla piena autorità di sé. Abbiamo parlato con Tommy per scoprire le immagini, i suoni e le parole che danno vita a questa trasformazione.
Intervista
1. “In ‘Big Boy’ racconti il tuo passaggio da un contesto precario all’emancipazione culturale: quale immagine o istante personale hai scelto come simbolo di questo cambiamento e perché?”
Per me l’immagine simbolo è stata il mio primo viaggio da solo a Milano, con uno zaino pieno di sogni e la testa carica di dubbi. Venivo da una piccola città dove essere diverso era una sfida quotidiana. Quel momento rappresenta il salto nel vuoto e la presa di coscienza che per costruire qualcosa di grande serviva coraggio, visione e una forte connessione con le mie radici. Ho capito che il mio background non era un limite, ma un superpotere. Il primo anno a Milano la mia confidence è davvero decollata!
2. “Il testo intreccia riferimenti alla cultura nigeriana e italiana: come hai lavorato per costruire un ponte autentico tra questi due mondi sonori e identitari?”
L’ho fatto vivendo profondamente entrambe le culture. Sono al 100% nigeriano e al 100% italiano: a casa si parlava Yoruba e si mangiava jollof rice, fuori si respirava l’Italia nei suoi angoli più autentici. Nella musica questo si traduce in un mix spontaneo—uso del Pidgin English, ritmiche afrobeat e melodie italiane—senza forzare nulla. Ho semplicemente raccontato la mia verità con frasi come “In rubrica c’è sala” e “party in casa Boeri”. È questa onestà che rende il ponte autentico.
3. “La resilienza è al centro del tuo inno afroitaliano: quali strumenti narrativi—metafore, flow, arrangiamenti—hai usato per trasmettere quella determinazione che ti ha fatto ‘diventare grande’?”
Ho scelto un flow che alterna forza e introspezione, rispecchiando la mia storia: momenti di orgoglio e momenti di fragilità. Le metafore spesso riguardano il corpo, trasformando l’idea di “grande” in simbolo di potere e auto-accettazione. Sonoramente, ho voluto un beat energico ma elegante, con influenze afrobeat che sostengono la narrazione. L’obiettivo è far sentire a chi ascolta che ce l’ho fatta… e che anche loro possono farcela.
4. “Avendo già esplorato l’identità nei tuoi album e nel libro, in che modo ‘Big Boy’ segna un’evoluzione nel tuo racconto personale e quali nuovi spunti speri di lasciare nel cuore di chi ascolta?”
“Big Boy” è una dichiarazione di potere personale. Nei progetti passati spiegavo chi ero, quasi a giustificarmi. Ora non chiedo più il permesso: mi prendo lo spazio. È il passaggio dall’identità all’autorità. Spero che chi ascolta senta questa energia e capisca che non deve più adattarsi per piacere agli altri: può essere sé stesso al 100%, e questo è abbastanza. “Big Boy” non è solo la mia storia, è un inno per chiunque si sia sentito fuori posto e voglia finalmente prendersi il centro del palco.