Un EP che unisce afrobeat, urban e introspezione, BRIXIA è il punto di partenza e di arrivo di un viaggio personale e artistico. Sidy, giovane cantautore italo-senegalese, racconta la provincia, l’identità, il coraggio di essere se stessi in un’industria che spesso premia la replica. Lo fa con uno stile riconoscibile e autentico, cresciuto tra scout, band rock, esperienze televisive e un’urgenza comunicativa che ha radici profonde. In questa intervista per il MEI, Sidy ci racconta l’origine della sua visione sonora, il valore della coerenza artistica e l’importanza di rappresentare la propria città senza filtri.
Intervista
“BRIXIA” è un lavoro che fonde afrobeat, hip hop e urban. Com’è nata la tua visione sonora e con quali riferimenti musicali sei cresciuto, tra Italia e Senegal?
In casa mia non c’è mai stata la “cultura della musica”, nel senso che i miei genitori erano molto più vicini agli ascolti casuali, così sono cresciuto tra le canzoni di Youssou N’Dour e Calma e sangue freddo di Luca Dirisio. Crescendo ho scoperto la musica Rock a scout e ho fondato la mia prima band. Siamo passati dai Rage Against The Machine a Si ah di Frah Quintale, quando ho iniziato a scrivere avevo così tante influenze che trasformavo le emozioni che volevo trasmettere in generi musicali, così piano piano ho costruito una musicalità che penso mi descriva a pieno.
Hai partecipato a Sanremo Giovani con un brano molto personale. Cosa ti ha lasciato quell’esperienza e come ha influenzato il tuo approccio all’EP?
È stato incredibile, grazie alle esperienze che ho vissuto negli ultimi anni sono riuscito a vivermi a pieno ogni momento, dal godermi l’arte con altri artisti al palco nella sua immensità televisiva. Mentre stavamo lavorando all’EP sentivo di dover dare di più, era come se il percorso fatto a Sanremo Giovani fosse stata la nuova linea di partenza e da lì si può correre solo avanti. Diciamo che ha influenzato e portato al massimo il mio stacanovismo musicale, però lasciandomi un senso di maturità. Con la musica non smetti mai di crescere, fa parte del percorso, e all’interno di BRIXIA si può sentire una maturità diversa.
In un panorama musicale che tende spesso all’omologazione, il tuo stile risulta riconoscibile e sincero. Quanto conta per te la coerenza artistica rispetto alle tendenze del mercato?
Credo che per un artista la propria musica sia come il passaporto, devi esserne fiero perché dice a tutti chi sei e da dove vieni. La musica è bella perché è libera, se vuoi puoi fare qualsiasi cosa. Credo che la coerenza artistica sia fondamentale per chi vuole fare musica nella vita senza odiarla. Fare musica senza l’esigenza di tirare fuori tutto quello che hai dentro ti lascia con un bagaglio ancora più pesante da portare in giro.
Il mercato dovrebbe seguire l’artista e non il contrario. Ad un concerto è sempre la canzone più sincera che ti fa ringraziare di essere lì in quel momento.
Il titolo “BRIXIA” richiama il nome latino di Brescia, la tua città. Come ti ha influenzato crescere in provincia e in che modo senti di rappresentarla nella tua musica?
Vivere in provincia mi ha permesso di crescere con i miei tempi, là dove l’arte fatica ad emergere, in qualche modo nel cuore di qualcuno sa sbocciare. La mia città ha raccolto tutte le mie storie e io l’ho scoperta man mano che vivevo. In BRIXIA racconto di Brescia come fossero le 4 mura di casa mia, lì dentro ci sono i miei genitori, gli amici di una vita, vecchi amori e un senso di crescita e maturità che ti dà solo la pazienza. Ho imparato tanto dalle persone che ho incontrato lungo questo cammino, sono felice di poterli raccontare nelle mie canzoni.
Brescia, oltre che città, è fatta dalle persone che ci vivono, dai ricordi e le storie che si raccontano nei bar o davanti a un bivacco. Alla fine questa è la magia di fare musica: la tua storia incontra spesso anche quelle degli altri, e io so che Brescia ha incontrato tantissime volte anche la mia di storia.