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Torna Roberto Grossi, lascia da canto i suoi Subbuglio! ma senza privarsi di quei modi, di quei suoni e di quel certo mondo visionario in bilico tra pop e poesia d’autore. Esce “Le stelle della sera” a dare i natali al suo viaggio personale di inediti. Un disco dentro cui troviamo anche la partecipazione di Paolo Archetti Maestri e della splendida Chiara Buratti chiamata proprio a rispolverare quella “Neve” tanto nota ai Subbuglio!. Sono delicatezze che non possiamo tralasciare…

 

Una carriera solista che inizia dopo anni di carriera con i Subbuglio!. Cosa ha portato questa trasformazione?

L’esperienza con la band era conclusa da tempo. Scrivo canzoni da sempre e questo bisogno, la necessità di esprimermi in questo modo, non mi ha mai abbandonato. Fare un nuovo album con le mie canzoni era un’esigenza che sentivo dentro da molto tempo. Finalmente eccolo!

 

Che poi con “Neve” in qualche modo “ti porti dietro il passato”… perché proprio questo brano?

Volevo che questo album parlasse di me, mettesse un punto sul passato e inaugurasse una nuova fase della mia carriera di cantautore. Per questo motivo ho voluto inserire anche tre brani della mia esperienza con la band che non erano mai usciti in un album, rimixandoli e rivisitandoli insieme a degli ospiti speciali. Neve è uno questi: è una canzone a cui sono molto legato per motivi personali e perché contiene la fisarmonica di un grande musicista, Nico Rosa, che purtroppo oggi non c’è più. La voce di Chiara Buratti poi l’ha ulteriormente reso un brano per me molto speciale.

 

 

Nel suono che trasformazione hai cercato? E col senno di poi che cosa hai raggiunto?

Nell’immaginare un mio sound sono sempre stato combattuto tra le mie radici rock, la mia passione per i cantautori e la musica elettronica. Nel nuovo album volevo sperimentare un suono più contemporaneo che riuscisse a rileggere in una nuova chiave la tradizione della canzone d’autore. Ho iniziato questa avventura artistica con queste idee ma come al solito è un viaggio del quale non puoi conoscere esattamente quale sarà l’approdo finale. In questo caso sono felicissimo perché il risultato è andato anche oltre le mie aspettative.

 

Nella produzione troviamo Helle. Da lei che tipo di suono e di arrangiamenti hai ottenuto? E cosa cercavi nello specifico?

Come ti dicevo cercavo una rilettura della tradizione cantautorale, anche facendo largo uso dell’elettronica. L’incontro artistico con Helle è stato determinante, c’è stata un’intesa straordinariamente perfetta: lei ha interpretato esattamente quello che erano le mie emozioni con gli arrangiamenti e le sperimentazioni elettroniche che stavo cercando. Se questo album esiste è in gran parte merito suo.

 

Secondo te oggi, in questa scena indie ampiamente devota alla trasgressione del suono e dell’elettronica, che spazio ha il pop d’autore? E che ruolo ha il cantautore oggi?

Io credo che non abbia senso inseguire modelli, mode o tendenze: ognuno dovrebbe esprimere liberamente quello che ha dentro: se poi qualcosa arriva al cuore delle persone vuol dire che c’erano dentro dei contenuti importanti, universali. Ma questa cosa non può essere predeterminata. Se si parla di un prodotto commerciale allora la logica è la stessa con la quale si commercializza una saponetta o un dentifricio e il discorso è differente. Io credo che il cosiddetto “cantautore” oggi abbia lo stesso identico spazio di sempre: esprimere delle emozioni, vere e autentiche, con il linguaggio che lui sente più adatto, a prescindere da generi e tendenze.

 

https://open.spotify.com/intl-it/album/7zgfIAKJDLgO7Hp6QEdiCJ?si=3w4z2X5YQ2WsRXAiCklUBA

 

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