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Con un video di particolare intensità e sensibilità, il cantautore Raesta prosegue il proprio percorso artistico con “Pop Corn”, un brano di grande dolcezza e autenticità. Il pezzo, accompagnato da un video minimale e sincero, cattura un momento di intimità profonda e riflessione. Abbiamo avuto il piacere di intervistarlo per esplorare l’ispirazione e il messaggio dietro questa canzone.


Qual è stata l’ispirazione principale per scrivere “Pop Corn”?

Il brano nasce da un paio di lunghe chiacchierate con due persone a me molto care, riflessioni sulle loro storie d’amore, in quel momento parecchio turbolente. Per una volta mi sono trovato in quell’altra posizione: quella di chi sta vivendo una storia più serena. E così una mattina ho scritto un testo su un arpeggio che conservavo da svariati anni. Alla fine ho cancellato tutto ciò che avevo scritto e ho scritto un altro testo di botto: così è nata la canzone.


Qual è la “contraddizione dell’amore” che senti più vicina a te?

L’amore ha profondamente bisogno di ossigeno, di spazi da esplorare, di fantasia; ma è anche qualcosa che ci lega fortemente e ci vincola. La dimensione della libertà personale e quella della condivisione sono una contraddizione intrinseca di un rapporto d’amore. Purtroppo non c’è più amore senza il rispetto per la libertà di noi stessi e dell’altro.


Come è nata l’idea per il video minimalista?

Sono sempre più spesso alla ricerca di luoghi dove portare la mia musica e spesso mi capita di recarmi fuori Roma armato soltanto della mia chitarra.
Una canzone come “Pop Corn”, che nell’EP “Fuoco di Paglia” è rimasta scarna, volutamente poco prodotta, in una versione demo masterizzata, si prestava a un video molto realistico. Sono io, Stefano, senza maschere o etichette che si interpongano da filtri.


Come si inserisce “Pop Corn” nella tua evoluzione artistica?

“Pop Corn” rappresenta un brano molto diretto, che non ha subito distorsioni da alcuno. È forse una canzone che segna un momento di maggiore consapevolezza di chi sono e cosa voglio raccontare senza per forza mettere sul banco un progetto, un’idea da elaborare con qualcuno. Anche a livello di esecuzione. Ho suonato la mia chitarra classica storica, l’ho registrata col mio Mac nel salotto di casa e ho inciso tutte le linee vocali ascoltando in silenzio ciò che avevo cantato. Non ha strofe o ritornelli: ha delle parti concatenate che si susseguono in un crescendo.


Cosa hai imparato dai tuoi lavori precedenti, come “Fuoco di Paglia”?

In questo cammino è difficile raccogliere un insegnamento chiaro e definito. Tutto è flusso continuo di informazioni ed esperienze. Ho capito, tuttavia, che musicalmente parlando ho voglia di dire la mia con la musica e con le parole e di farlo senza scendere a troppi compromessi. Ho imparato tanto, tantissimo ma mi sento solo all’inizio di un cammino lungo e ostico, benché meraviglioso.


Cosa speri che gli spettatori percepiscano guardando il video?

Spero che gli spettatori si sentano immersi in una comfort zone, in un racconto intimo e anche di comune sentire. Mi piacerebbe che alcune delle parole e dei messaggi vadano in risonanza con la loro propria essenza. E che in qualche modo conoscano un po’ meglio chi sono: un trentottenne che ha tanta voglia di raccontare, di far riflettere e, perché no, sorridere e sognare.

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