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In un’epoca in cui “esserci” è quasi un obbligo, tra notifiche, eventi, like e ansie da prestazione sociale, GIMA ribalta il paradigma con JOMOJoy of Missing Out. Un EP di musica elettronica che non rinuncia al beat, ma sceglie la consapevolezza al posto dell’apparenza. Un viaggio sonoro nato dalla frenesia urbana, ma che trova rifugio in un bisogno tutto umano: quello di rallentare, respirare e riconnettersi con sé stessi.
Abbiamo parlato con lui di suoni che anticipano le parole, feste vissute dietro la consolle, silenzi creativi e spazi interiori. Ecco cosa ci ha raccontato.


L’EP JOMO gioca con il concetto di “Joy of Missing Out” come contrapposizione alla frenesia della FOMO. Come riesci a trovare una connessione tra la velocità dei bpm e la riflessione introspettiva che si nasconde dietro questo lavoro? In che modo la musica è stata il tuo rifugio per contrastare la frenesia urbana?

Sono arrivato a Milano un po’ di anni fa e ho scoperto una dimensione molto diversa dalla provincia a cui ero abituato: la frenesia, la corsa, gli eventi a cui devi esserci per forza. Questa roba mi ha segnato tantissimo e mi ha fatto scoprire, col tempo, la bellezza di perdersi dei momenti, del “non esserci”. JOMO non significa isolamento, ma è recuperare la bellezza del presente; non significa andare piano, ma essere presenti a se stessi anche nella frenesia. Ho cercato di tradurre questa sensazione in musica ed è nato questo EP.

 

Il titolo dell’EP richiama un desiderio di distacco, ma al contempo celebra l’intimità e la connessione profonda con sé stessi. Quanto del tuo percorso artistico è legato alla ricerca di questo equilibrio tra isolamento e partecipazione al mondo esterno?

Non credo che il mio percorso artistico in toto sia influenzato da questa difficoltà che forse è anche più recente, acuita da eventi sociali e personali degli ultimi anni. In generale sono sempre stato un tipo timido, la musica mi ha sempre aiutato in questo: mi piace stare alle feste, ma preferisco stare dietro la consolle.

Nelle tue produzioni elettroniche, l’uso dei suoni sembra spesso precedere le parole. Come trovi l’ispirazione per scrivere testi che siano il naturale completamento delle sonorità? C’è una traccia in particolare che rappresenta meglio questa fusione tra emozione e produzione musicale?

Succede perchè la mia musica, anche quando è solo strumentale, nasce per raccontare qualcosa di personale, anche solo in forma di suono. Le parole diventano una conseguenza naturale, ma è la musica che mi permette in primis di dare espressione a quello che sento e mi conduce alle parole. Credo che Luglio sia l’esempio di questo movimento creativo con cui nascono i miei brani.

JOMO è stato creato in un contesto di smania urbana e riflessione introspettiva. Come riesci a tradurre questo contrasto tra l’energia pulsante della città e il bisogno di rallentare in un linguaggio sonoro che risuona tanto nei club quanto nelle stanze private degli ascoltatori?

Nella fase creativa di questo EP io e il mio team siamo andati in un posto magico, il Baito di Elia Guglielmi, dove abbiamo rifinito e registrato i brani. Quel momento mi ha offerto la dimensione perfetta per comprendere ancor meglio la musica che avevo creato e per capire che il mio obiettivo ultimo era arrivare alle persone a cui piace ‘sta roba. Che sia in un club o sul divano di casa, che sia in metro o nelle cuffie prima di andare a dormire, la mia speranza è che questo EP arrivi a chi deve arrivare. Non so se mi spiego. È un EP di musica elettronica, non mi aspetto rientri negli ascolti del grande pubblico per forza, ma spero che arrivi a quelle persone che per gusti e abitudini di ascolto sono già sintonizzate sulla stessa frequenza.

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