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Nel cuore di un pop che sa essere intimo e spigoloso al tempo stesso, Calliope torna con un brano che è insieme confessione e resistenza. “Fertili”, nuovo singolo in uscita per Panico Dischi, è un urlo trattenuto, un abbraccio che non arriva mai ma di cui si avverte la mancanza in ogni verso. Vincitrice del premio Music is the Best 2024, la cantautrice toscana si muove tra simboli letterari e synth affilati, scavando dentro le relazioni e dentro se stessa con una scrittura che è carezza e schiaffo insieme.

L’intervista che segue è uno sguardo dietro le quinte di una voce che non ha paura di mostrarsi fragile, ma che proprio nella fragilità trova la sua forza.

“Fertili” nasce da un momento di impotenza nei confronti di chi si ama. Ti capita spesso di sentirti così anche con te stessa? 

Fino a qualche anno fa mi succedeva spesso, oggi molto meno, anche se può capitare ancora. Da quando ho scritto “fertili” sono cambiate molte cose nella mia vita: ho iniziato un percorso di psicoterapia e un lavoro profondo su me stessa. Questo mi ha aiutata a riconoscere e accogliere certe emozioni, senza farmene travolgere. Ci sono giorni in cui mi sento ancora “fuori posto”, soprattutto nei momenti di fragilità, quando riemergono le dinamiche più tossiche di certi ambienti – come quello musicale, che a volte sa essere competitivo e spietato. Ma oggi sento di aver trovato la mia casa: il mio corpo. Se resto centrata su di me e su ciò che amo fare, allora mi sento esattamente nel posto giusto, al momento giusto. Imparare a vivere nel presente, davvero, credo sia la lezione più importante che sto cercando di apprendere.

C’è una frase nel brano che suona come una carezza e uno schiaffo insieme: “Tanto non mi abbracci mai / Tanto non ti fai abbracciare mai”. Ti rivedi ancora in queste parole? 

Ho scritto questa canzone pensando a mio fratello, così fragile e allo stesso tempo così respingente. Ci sono stati anni in cui sembrava rifiutare ogni forma di aiuto, anche quando era evidente che ne avrebbe avuto bisogno. In famiglia, la dinamica dell’evitamento è quasi una costante – è come se avessimo imparato a proteggerci nascondendoci. Oggi però quella fase è alle spalle, e anche il nostro rapporto è cresciuto con noi. Ci siamo scelti consapevolmente come punto d’appoggio, l’uno per l’altra. Quelle parole nel brano parlano di una distanza e impotenza che oggi non sento più, ma che ha lasciato il segno, e forse proprio per questo oggi la vicinanza ha un valore ancora più forte.

Il brano ha una tensione quasi fisica, un’urgenza che spinge a ballare anche con il nodo alla gola: è venuto fuori così fin dall’inizio o hai avuto paura che fosse troppo? 

La canzone è nata piano e voce, in una dimensione molto intima. Avevo in mente un ritornello che potesse aprirsi e donare un po’ di positività al brano, ma mai mi sarei immaginata la direzione che avrebbe preso con la produzione. È stata la visione di Renato D’Amico a fare la differenza: ha saputo leggere tra le righe della canzone e aggiungere sfumature che non avevo previsto, ma che sento profondamente mie. Ha trasformato quella malinconia in movimento, in una sorta di ballo sotto la pioggia

Parli della Ginestra (quella di Leopardi), di Vesuvio…ti rifugi spesso nei simboli per dire cose che altrimenti non riusciresti a dire? 

Assolutamente sì. Il linguaggio simbolico è la mia comfort zone da sempre. Lavoro come bibliotecaria, e i libri – soprattutto la poesia – sono da sempre la mia fonte d’ispirazione più profonda. Attraverso i simboli riesco a dire cose che altrimenti mi sembrerebbero troppo esposte, troppo nude, quasi in pericolo. E poi trovo bello lasciare agli altri la libertà di interpretare. Ogni ascoltatore può trovare un senso diverso, magari lontano da quello che intendevo io, ma non per questo meno vero.

Sappiamo che con il premio “Music is the Best” hai potuto dare più luce al progetto. Ma come ci si sente quando la luce arriva proprio mentre stai scrivendo del buio? 

È senza dubbio una sensazione particolare. Da un lato, può essere doloroso rivivere momenti difficili attraverso le canzoni, ma dall’altro mi guardo oggi e sono fiera del percorso che ho fatto. Sarà una banalità, ma ogni difficoltà mi ha portato alla me di oggi e, anche se non esiste un vero e proprio traguardo, sono contenta di ciò che sono diventata. Penso che la luce non cancelli il buio, anzi, lo rende ancora più significativo. Con la luce si vedono (si capiscono) meglio le ombre e così adesso sento di conoscermi molto più a fondo. 

Nel disco ci saranno altri pezzi così diretti o “fertili” è stato uno strappo necessario? 

Ogni pezzo del disco è scritto pensando a una persona in particolare. Ogni emozione raccontata è reale, vissuta. “fertili” non è un’eccezione, ma forse è il brano in cui questo intreccio tra vissuto e parola si mostra in modo più esplicito. In tutto il disco ci sarà uno scambio continuo tra linguaggio simbolico – fatto di immagini, metafore, visioni – e versi più crudi e diretti. Sono molto felice che presto sarà fuori, nelle orecchie di chi vorrà. 

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