“Not My Value” non è solo un nome, è un vero e proprio manifesto. Con questa scelta, Lisa e Claudio hanno voluto sottolineare l’importanza di andare oltre la musica. “Non il mio valore” è un promemoria per loro stessi di non identificarsi esclusivamente con la loro arte, ma di riconoscere la propria umanità e i propri valori al di là della creazione musicale. Questo distacco terapeutico ha permesso loro di approcciarsi alla musica con una maggiore libertà e sensibilità.
Il loro primo inedito si intitola “Sign Language”, e ne abbiamo parlato proprio con loro.
Il vostro ci sembra davvero un progetto ambizioso e forse addirittura troppo internazionale per la scena italiana. Quali festival o contesti italiani potrebbero fare al caso vostro? Siete scoraggiati dal contesto italiano?
Ci fa piacere essere riconosciuti come un progetto internazionale.
Nei nostri piani c’è la voglia di uscire dall’Italia e vedere cosa succede confrontandosi con altre realtà europee. Però vogliamo partire ora dall’Italia, ci sono tante realtà interessanti anche qui e prima di uscire vorremmo conoscere e farci conoscere nel nostro Paese.
Ci sono club e piccole realtà popolate da persone appassionate, ci viene in mente il Sofar Sounds che è nato in Inghilterra ma si è disuso anche in Italia e dà vita a tante serate intime e interessanti dove l’atmosfera raccolta e concentrata è ideale per il nostro show a metà tra il teatro e il concerto.
Per non parlare dei festival, dai più grandi e famosi ai più piccoli: C2C a Torino, Linecheck a Milano, Barezzi live a Parma, Medimex a Taranto e tanti altri…
Non siamo scoraggiati, ci sono delle nicchie interessanti anche qui 🙂
Quando è nato il vostro nuovo singolo “Sign Language”, e quanto tempo ci ha visto elettivamente a vedere la luce? Cosa ricordate del periodo a cui avete lavorato a questo brano?
E’ nata prima la musica, sarà stato un paio d’anni fa, molto per gioco.
Un beat di batteria generato da una piccolissima Drum Machine, un giro di accordi e una melodia senza testo. E’ proprio il primo pezzo nostro che abbiamo scritto insieme, non c’era nemmeno l’intenzione di fare un brano da registrare in studio o di mettere su un duo, non esisteva ancora NOT MY VALUE. Lo ricordiamo come un periodo di timide jam e ricerca sonora, un periodo in cui ci stavamo iniziando a conoscere come musicisti.
Il testo è arrivato mesi dopo, insieme al rif di chitarra che ora sembra portante. Da quando era una bozza sul cellulare a quando siamo entrati in studio da Lele Battista a registrare, ci sono stati tanti passaggi. Quello più importante forse è stato vestirlo di un testo che gli ha dato un significato che ha aiutato poi il resto della produzione a formarsi.
Vi capita mai di non essere più soddisfatti dei vostri pezzi, a distanza di tempo da che li avete conclusi? Vi capita mai di riascoltarvi?
I pezzi che si fanno per noi sono come fotografie di un momento, una cristallizzazione di un pensiero, uno stato d’animo e un contesto di vita. Anni fa ci capitava di riascoltare nostri vecchi brani e criticarci, ora ci interessa di più ricordare quel momento e accettarlo per come era, per come eravamo noi come persone più che musicisti. Sicuramente ci capita di notare aspetti della produzione, mix o testi che oggi faremmo in modo diverso, ma il bello è proprio cambiare e riguardare alle vecchie forme artistiche come rappresentative di quel periodo, osservare lo sviluppo e la crescita, il percorso fatto fino ad oggi.
In che rapporti siete quando non siete i Not My Value? L’avere un legame stretto e l’essere in buoni rapporti anche al di là della musica, è qualcosa che poi ha un effetto anche sulla musica che create?
Siamo una coppia anche nella vita privata e questo ha senza dubbio un’influenza sulla musica che scriviamo e su come pensiamo tutto il progetto. Crediamo che Not My Value sia nato grazie alla forza che ci siamo dati come coppia di riaprire un capitolo che avevamo chiuso e che ci aveva ferito, abbiamo ripreso insieme a fare musica e riadottare vecchie questioni personali irrisolte.
Fare musica in coppia vuol dire poter suonare a mezzanotte quando ti viene l’ispirazione ed essere già insieme per buttarsi su un’idea e vuol dire anche condividere tantissimo (ansie e paure comprese) e creare vari livelli di stratificazione di significati su ogni aspetto.
Quale tematica legata a questo pezzo credete non sia ancora emersa dalle interviste che avete rilasciato riguardo “Sign Language”?
C’è un verso di Sign Language che ci è venuto in mente leggendo la vostra domanda di prima, quella che chiedeva cosa pensiamo dei nostri vecchi pezzi. Il verso è: “I don’t wanna change anything and at the sametime I question everything”.
Abbiamo pensato a quel verso perché da una parte guardando al passato con la consapevolezza di oggi, ci sono tante cose che mettiamo in discussione nella musica come nella vita però la verità è che alla fine non cambieremmo proprio nulla perchè per quel momento era giusto fare così o era quello che eravamo in grado di fare, a quell’età, in quel contesto storico ed emotivo.
In ogni caso c’è quel misto di messa in discussione e poi accettazione che si confrontano dentro di noi se ripensiamo ad alcune cose del passato, un misto di nostalgia e serenità per quello che si è comunque diventati.
Tema che poi è ripreso nell’ultimo verso: “Isn’t it absurd to see each other now? Wiser, more tired but finally free?”.