Si intitola “L’estate spietata” questo nuovo disco di Matteo Bonechi, lavoro di precisione artigiana e di quel “teatrino” tutto italiano. In scena va un’ensemble in presa diretta dal suono jazz che cerca la forma pop nel raccontare le nostre abitudini durante l’afa estiva immerse nelle periferie delle nostre città, nel quotidiano di cose semplici che ci appartengono da sempre e perché no, anche di vedute romantiche dense di poesia, che mai guasta. E sa farlo Bonechi, sa farlo con ingredienti allegorici e densi di intelligente ironia, oltre che di un suono analogico che torna indietro con le abitudini artigiana di un mestiere importante.
Un’estate galeotta per l’ispirazione o per la produzione? Cos’è accaduto?
Più per l’ispirazione che per altro. L’estate non solo come stagione tout court, ma come periodo emotivo e spirituale. Comunque un percorso con un inizio e una fine, che però sviluppa la propria essenza anche nella circolarità del suo movimento, nel suo ripetersi ogni anno.
E perché proprio l’estate? Che cosa ha significato per te?
Ho cercato di sviscerare l’idea troppo spesso semplificata che si ha di questa stagione. Estenderne la descrizione verso un ritratto più articolato e contraddittorio. A partire dal concetto meteorologico. Il sole è vita, ma anche rimanerne all’ombra può esserlo.
Che poi se ho capito bene questo tipo di approccio al suono e alla produzione è un unicum per ora nella tua carriera sbaglio?
Esatto. I primi due dischi sono molto lavorati in pre-produzione. Nell’estate spietata l’approccio è stato opposto. Anche solo come sfida mi incuriosiva come sarebbe andata a finire.
E nel futuro? Passerai la mano ai computer o resterai tra i fumi del jazz?
anche questa può rappresentare una sfida interessante. Passare dal tutto suonato al quasi niente. Cambiare pelle, sperimentare nuove sonorità.
Che cosa ha regalato in più e cosa invece senti di aver tolto al tuo suono in un disco prodotto in questo modo “antico”?
In più sicuramente c’è una stanza che “respira”, si avverte il movimento all’interno dell’ambiente in cui si muovono i musicisti, i piccoli errori che rendono le registrazioni umane. In meno sempre gli stessi piccoli errori che per chi ha registrato diventano limiti personali evidenti, almeno per quanto mi riguarda.
Oggi per te l’elettronica intelligente, risorsa o frontiera di un burrone?
Dipende sempre da come la si usa. Sicuramente è una risorsa così come l’intelligenza artificiale. Manipolare la sinusoide di un suono a proprio piacimento è un’operazione costantemente operata dall’uomo dall’alba dei tempi. A mio avviso però spesso rappresenta il fine ultimo e non uno strumento comunicativo come invece dovrebbe.