Spotify è stata accusata di riempire le sue playlist più popolari con brani di “artisti finti”, composti su commissione per generi come jazz, ambient e musica strumentale. Secondo un’indagine pubblicata su Harper’s dalla giornalista Liz Pelly, questa pratica consentirebbe alla piattaforma di risparmiare sui diritti d’autore, grazie a contratti che pagano i produttori una tantum, senza royalties aggiuntive.
La strategia fa parte di un programma interno chiamato “Perfect Fit Content” (PFC), progettato per incentivare l’ascolto passivo e ottimizzare i costi. Playlist come “Ambient Relaxation” o “Deep Focus” includono in gran parte brani PFC, spesso anonimi e “facili” per adattarsi a qualsiasi contesto.
Dietro il successo di queste tracce, commissionate a pochi produttori e distribuite da aziende come Epidemic Sound e Mood Works, ci sono guadagni significativi per i fornitori, ma un impatto negativo per artisti reali, spesso esclusi dalle playlist più seguite. Questa strategia solleva interrogativi sull’etica e sulla sostenibilità del modello Spotify, costruito su algoritmi e musica su misura per il mood degli utenti.
Fonte: https://www.ilpost.it/2024/12/24/spotify-playlist-canzoni-finte/