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“Au Contraire” non è soltanto il titolo del nuovo album di Massimo Torchio, cantautore piemontese raffinato e schietto. È una dichiarazione poetica, un manifesto musicale che celebra la complessità dell’essere umano e della canzone come forma d’arte viva, pensante e contraddittoria. Lo abbiamo intervistato per esplorare le tracce e i pensieri che lo hanno portato fin qui.


 Torchio: “Au Contraire” è il punto in cui ho accettato pienamente le mie contraddizioni

“Au Contraire” è il nuovo album di Massimo Torchio, cantautore piemontese dalle radici profonde ma con collegamenti del tutto contemporanei. Gli abbiamo rivolto qualche domanda.
1) Il titolo “Au Contraire” suggerisce un contrasto. In che modo questa dualità si riflette nella scelta di accostare testi profondi e a volte “scomodi” a melodie “apparentemente leggere e solari”?
Il contrasto è il cuore del mio modo di scrivere. Au Contraire è una dichiarazione di intenzioni: cercare la luce nei luoghi bui, e viceversa. Mi affascina l’idea che una melodia apparentemente orecchiabile possa veicolare un pensiero scomodo, una riflessione profonda. È come se la musica diventasse un cavallo di Troia per far entrare la complessità nell’anima dell’ascoltatore ma allo stesso tempo non temo suoni più crudi, profondi, come in “Sangue  Inchiostro” o “Lo Farei”. La leggerezza può essere un linguaggio potente, se la si usa per dire cose vere ma non deve diventare prigione, fare canzoni senza correre rischi credo sia alquanto noioso.
2) Il comunicato evidenzia che la tua ricerca artistica è continua. In che modo “Au Contraire” rappresenta una nuova tappa in questa ricerca e quali orizzonti futuri intendi esplorare?
Au Contraire è il punto in cui ho accettato pienamente le mie contraddizioni. È un disco che non cerca di piacere, ma di essere autentico. Ho abbracciato l’idea di mescolare generi, suoni, approcci anche apparentemente distanti. In futuro, vorrei approfondire ancora di più l’interazione tra musica e parola, magari avvicinarmi alla dimensione teatrale del racconto cantato, o esplorare suoni acustici e tradizionali in chiave contemporanea. L’orizzonte è aperto, finché sento che sto cercando, va tutto bene.
3) “Lo Farei” è una poesia scritta a tredici anni, musicata per dare un senso alla tua consapevolezza di adulto. Come hai vissuto questo processo di rielaborazione di un testo così personale e antico?
È stato quasi un incontro con me stesso. Leggere quelle parole oggi, con la distanza di tempo e di vissuto, è stato commovente. Ho scelto di non modificarle quasi per niente: volevo rispettare la voce di quel ragazzino che ero. La musica è arrivata per accompagnarlo, per dargli un contesto emotivo adulto, senza tradirlo. È un gesto di riconciliazione con il passato, ma anche un modo per dire che certe domande ci abitano da sempre. “Il gesto che sconvolge padri e madri” è proprio quel gesto estremo che nessuno dovrebbe immaginare, cercare. Oggi in “Lo Farei” vedo soltanto suoni e parole che cercano amore.
4)”La Città Scollegata” è presentata in una nuova versione live con quartetto d’archi e soprano. Cosa ti ha spinto a questa reinterpretazione e quale atmosfera volevi creare con l’aggiunta di questi strumenti?
Sentivo che La Città Scollegata aveva bisogno di un respiro diverso, più profondo. L’ arrangiamento del Maestro Andrea Albertini, gli archi e il soprano le hanno dato una dimensione quasi sospesa, onirica. Volevo che diventasse una sorta di preghiera urbana, un’evocazione del senso di isolamento e disconnessione che viviamo spesso nelle nostre città digitali in questo paese che è un po’ tutta provincia. Provincia che amo seppur affaticante. La nuova veste l’ha trasformata in qualcosa di più viscerale, meno cerebrale.
5)”Io Che Amo Solo Te” è una libera interpretazione del brano di Sergio Endrigo. Qual è stata la tua chiave di lettura per questo classico e come hai cercato di renderlo tuo, pur rispettandone l’essenza?
Endrigo è un maestro di delicatezza. Ho voluto portare quella canzone in una dimensione più spogliata, quasi intima, come se la stessi confidando all’orecchio di qualcuno. Non ho cercato di rifarla, ma di viverla. La mia versione è una dichiarazione sussurrata, una forma di rispetto attraverso la sottrazione. Ho cercato di far emergere la fragilità, il bisogno assoluto che c’è dietro quel “solo”.
6) L’album vanta numerose collaborazioni con altri musicisti e artisti. Quanto è importante per te la condivisione del percorso creativo e cosa ritieni che ti abbia arricchito di più da queste esperienze?
Per me scrivere canzoni è un atto solitario, ma farle vivere è un processo corale. Il mio modo di interpretare le canzoni arriva da certo Rock e da quando ho iniziato il percorso solista, tutti i miei lavori sono stati prodotti da e con “Luca Grossi” dello studio Flat Scenario perché le collaborazioni devono anche portare fuori dal proprio modo abituale di pensare. È lì che succedono le magie: quando qualcuno prende un tuo brano e lo ascolta con occhi diversi. Ogni musicista che ha partecipato a Au Contraire ha lasciato un’impronta, spesso inaspettata, sempre preziosa. L’arricchimento più grande è la sorpresa: scoprire che qualcosa può essere più grande della somma delle sue parti. Con Massimiliano Bocchio per esempio abbiamo scritto ben quattro canzoni presenti nell’ album : “Provo Ribrezzo”, “Laila”, “Sangue Inchiostro”, “Gli Amanti Volanti”. Bocchio con la propria creatività sconfinata mi ha permesso di liberare  una parte del mio sentire che forse temevo, il coraggio prezioso di certo pop indomabile. La musica è un linguaggio e cantare di timidezza, identità di genere, del bisogno di scrivere quasi fosse una dipendenza, delle paure che circondano una fine o un gran finale, deve risultare  comprensibile ma più che mai credibile.

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