Nel panorama del punk italiano, un disco che mette al centro il cervello non è certo una scelta convenzionale. “Temporale” non si limita a scuotere le coscienze con l’energia viscerale del genere, ma si addentra nei meccanismi della mente umana, esplorando il rapporto tra percezione, coscienza e realtà. Un progetto ambizioso, che unisce neuroscienza, filosofia della mente e un’urgenza espressiva senza compromessi. Abbiamo parlato con Capra, che ci ha raccontato la genesi dell’album e il percorso che ha portato la band a questa nuova sfida.
Il cervello come protagonista di un disco punk è una scelta poco convenzionale. Pensate che la musica possa essere un mezzo efficace per raccontare la complessità della mente umana, oppure è stata una sfida proprio per la sua apparente incompatibilità con il vostro sound?
Capra: Quando abbiamo iniziato a pensare a Temporale – quando ancora non si chiamava così – abbiamo deciso di muoverci attraverso dei limiti: provare a vedere se mettendo delle costrizioni al nostro modo di fare canzoni ne sarebbe uscito qualcosa di interessante. Dopo vent’anni e passa in cui suoni e scrivi, le sfide possono diventare il motore del tuo rapporto con la musica. Una di queste era decidere un concept e delle sonorità, prima ancora di mettere insieme le idee. Così, ispirato da un paio di esami di filosofia sostenuti in quel periodo, abbiamo deciso di strutturare un racconto che parlasse del cervello, del rapporto di ogni io con il proprio cervello. Provare a vedere se eravamo capaci di chiudere un disco che avesse dentro un po’ di neuroscienza e un po’ di filosofia della mente. Temporale è quello che ne è venuto fuori.
In Temporale non vi siete limitati a mettere in discussione la realtà, ma avete scavato nei meccanismi con cui il cervello la costruisce e la interpreta. Vi siete mai trovati a dover gestire la distanza tra il modo in cui percepite voi stessi e come vi percepiscono gli altri? Quanto questo tema ha influenzato la scrittura del disco?
Capra: Ogni disco credo che debba mettere in discussione il tuo rapporto con la musica che fai, con le persone che la ascoltano e quelle che potrebbero ascoltarla un domani. Specialmente se ti ritrovi a farlo da quando eri adolescente. La tensione è sempre stata tra il fare la musica che ci piace suonare senza diventare la cover band di noi stessi. La cosa bella, al punto dove siamo, è che non ci vergogniamo di nessuna canzone che abbiamo fatto uscire. D’altronde, come insegna la psicologia della Gestalt, non esiste un mondo a prescindere da chi lo percepisce: ogni percezione del mondo è personale, guidata dai propri meccanismi cerebrali e dalla propria visione delle cose. Come ci percepiscono gli altri sarà sempre un territorio dove non potremo sconfinare, e che, onestamente, ci interessa relativamente esplorare.
Avete sempre avuto un approccio viscerale e diretto, ma stavolta avete composto in modo diverso, stratificando le idee in studio. È stata una scelta naturale o un esperimento che all’inizio vi ha spiazzati? E cosa ha cambiato nel vostro modo di intendere la band?
Capra: Avere uno studio di registrazione in cui poter sperimentare e far crescere le idee è qualcosa che ci ha fatto sentire un po’ come i Beatles alla fine degli anni ’60. Chiaramente, creare un disco senza fare le prove implica che, dopo, una volta chiuse le registrazioni, devi fare il triplo del lavoro in sala per portare su un palco quel suono. I Beatles, invece, avevano smesso di fare concerti e il problema era risolto. Questa è sostanzialmente l’unica differenza tra noi e i Beatles. È una battuta.
Le vostre canzoni spesso sono come esplosioni di energia incontrollata, eppure il concept di Temporale ha un’intelligenza quasi chirurgica. Qual è stato l’equilibrio più difficile da trovare tra impeto e riflessione?
Capra: Provo a rispondere con una domanda: che fatica faresti se ti chiedessi di pensare a una mela? Nessuna. Oppure: se scommettessi con te 1.000€ che non riusciresti a salire le scale di casa senza pensare a un elefante azzurro, è molto probabile che perderesti la scommessa. (Possiamo farla quando vuoi 😉). Il pensiero è immediato, non servono sforzi. Ma se dovessimo andare più a fondo e approfondire come questo accada, come si forma un pensiero, come reagiamo a uno stimolo, come vediamo un cerchio o sentiamo un fa minore, allora si apre una regione di analisi sterminata. E furiosamente interessante. Riflettere sul cervello è un modo per conciliare proprio i due mondi di cui parli: l’immediatezza e la riflessione.