Con il doppio album Pagani per Pagani, l’artista affronta l’eredità complessa e multiforme di Herbert Pagani, un uomo che ha lasciato il segno non solo come cantautore, ma anche come poeta, disegnatore e innovatore. In questa intervista, esploriamo il processo creativo, le sfide interpretative e il legame profondo tra teatro, musica e poesia che rendono unico questo tributo.
Herbert Pagani non solo cantava, ma disegnava, scriveva e creava mondi interi. Come hai affrontato la sfida di rappresentare un artista così poliedrico, mantenendo viva la sua complessità e unicità nel tuo doppio album Pagani per Pagani?
L’ho affrontata studiando a fondo la sua produzione artistica: dalle canzoni, in italiano e in francese, dalle più note alle meno conosciute. Ho letto tutti i suoi scritti, anche in francese, osservato e scandagliato le sue opere visive, e ascoltato le sue trasmissioni radiofoniche. Il suo modo di condurre era straordinariamente coinvolgente; non a caso è stato un pioniere della radiofonia. È stato uno dei primissimi conduttori radiofonici e disk jockey italiani: si può dire che abbia inventato lui questa professione nel nostro Paese.
Hai definito alcune canzoni di tuo fratello come “teatro canzone”, richiedendo un’interpretazione tra canto e recitazione. Qual è stato il brano che più ti ha messo alla prova come “cantattrice” e perché?
Ci sono brani che mi hanno messa alla prova tanto come cantattrice quanto come cantante, e in entrambi i casi il processo è simile: visualizzo e faccio rivivere le immagini evocate dalle parole, attraverso voce, respiro e corpo. Cerco di condividere con l’ascoltatore un universo immaginativo che diventa parte integrante dell’opera, sia a teatro, in radio o in un disco.
Tutte le canzoni di Herbert sono impegnative, perché ricche di immagini e musicalità. Palcoscenico è stata una delle sfide maggiori, forse perché è stato il primo singolo e vi si alternano canto, narrazione e racconti con toni diversi. A questo brano ho anche dedicato un videoclip: qui la sfida è stata raccontare una storia per immagini, rendendola esteticamente godibile e, al tempo stesso, dinamica.
Nei brani più cantati la sfida è spesso tecnica, con scarti di tonalità ed estensioni vocali importanti. Nel teatro canzone, invece, si gioca più sulla variazione e modulazione dei registri interpretativi, attingendo alla loro ricchezza per mantenere viva l’attenzione dell’ascoltatore.
La tracklist spazia da pezzi drammatici a brani più giocosi e ironici. Come hai deciso l’ordine delle canzoni per creare un’esperienza emotiva coerente per chi ascolta l’intero album?
Ho cercato di alternare brani per piano solo con altri caratterizzati da una strumentazione più complessa, affiancando mood drammatici e struggenti a momenti più allegri e vivaci. Ho giocato anche con la varietà delle voci, alternando femminili e maschili, per mantenere un equilibrio emotivo e sonoro che mantenga viva l’attenzione dall’inizio alla fine dell’album.
L’idea era di creare un’esperienza che accompagnasse l’ascoltatore in un viaggio, fatto di contrasti ma sempre coeso, per far emergere la ricchezza e la varietà del lavoro di Herbert.
Nel tuo percorso hai intrecciato teatro, musica e poesia. In che modo la tua formazione teatrale ha influenzato il modo in cui interpreti le canzoni di Herbert, in particolare brani come Serenata o La mia generazione?
La mia formazione teatrale ha influenzato moltissimo il mio approccio. Herbert stesso interpretava le sue canzoni in modo teatrale, come dimostrano il concept album Megalopolis o il Monologue de la solitude. Parallelamente al teatro, ho sempre studiato canto, iniziando con il lirico, e questo mi ha permesso di spaziare tra registri ed estensioni vocali diverse.
In Serenata, ad esempio, ci sono momenti vocali esplosivi e acuti, che richiedono una tecnica e un controllo molto precisi. La mia generazione, invece, è una canzone lirica ed elegiaca, che parla della mancanza d’amore familiare. È un brano che mi commuove profondamente perché riflette anche la mia storia personale.
A teatro tendo a recitarlo come una poesia, per gestire l’emozione e mantenerne l’intensità. Nel disco, invece, lo interpreto con “cuore nudo”, lasciando che la voce esprima tutta la vulnerabilità e la forza del brano, come un volo con vele e ali spiegate.
Con Pagani per Pagani, l’artista non solo rende omaggio a un genio poliedrico, ma ci invita a immergerci in un mondo fatto di musica, poesia e teatro, un universo in cui passato e presente si incontrano per dar vita a nuove emozioni.