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Ecco il duo formato da Matteo Bosco e Valeria Molina, conosciuti come Bande Rumorose in A1. Il loro suono è una sospensione dannata: decisamente blues, viscosa, ruggine e ferro marcio. Ma c’è anche un sospiro poetico, a tratti scanzonato. Una vita misurata con piglio quasi arrogante, ma accompagnata da una saggezza consapevole. Nel loro sound roots troviamo personaggi come Swanz the Lonely Cat con la sua armonica. Per loro è un esperimento, un “gioco”: questa vita, questo suono, questo modo di scorrerci dentro. In fondo, è nei sottoscala che si trova la vera vita.


Siamo tutti noi della vita quotidiana a stare nel sottoscala? Questo titolo mi regala immagini di “comunione”, come a dire: ci sono altri come me… oppure volevate dire altro?

Nel “sottoscala” ci siamo noi, certo. Nel “sottoscala” ci mettono gli altri perché non ci vogliono più vedere; nel “sottoscala” ci rifugiamo e ci nascondiamo per scelta. Ma è anche il luogo in cui mettiamo gli altri, per gli stessi motivi. È una soluzione di comodo per convivere con le cose “difficili”, ma come tutte le soluzioni tampone, è limitante: produce vite e menti mutilate.


La dimensione blues come “dannazione” dell’anima è un centro di questo lavoro o sbaglio?

Il blues è diretto, radicale, quasi atavico: fa parte di ogni emozione provata, nella sua accezione più ampia. La “dannazione” è fondamentale nel disco: è il prezzo che paghi, volontariamente, nel momento in cui scegli. Puoi scegliere solo se sei libero. Ho sempre pensato al “blues” in termini morali: una scelta estrema, compiuta con consapevolezza e libertà, sapendo di essere l’unico artefice del proprio bene o della propria “dannazione”.


Un altro punto chiave per me è la sintesi. Ha senso parlare di sintesi nella produzione di questo disco?

In senso semantico sicuramente: partiamo dal singolo, dall’elemento, e cerchiamo di darne un’interpretazione unitaria. Tuttavia, il processo non ha una conclusione. Ciò a cui arrivo non è una “legge” e cambia continuamente. Io cambio idea, rivedo le mie convinzioni, mi contraddico; per fortuna. L’utilizzo del linguaggio mi ha permesso di sperimentare, creando “strade sintattiche alternative”. Il resto è un lavoro che lascio fare all’ascoltatore.


Ma sbaglio o si fa anche “ironia” nel parlare di società? C’è allegoria sul tema… sempre nella mia lettura.

L’ironia è presente e ha un ruolo essenziale, non solo nel disco ma in tutta la mia scrittura. Non lo faccio per l’ascoltatore, ma per me. Quando penso a certe persone o episodi, fatico a gestire delusione, sofferenza e rabbia. L’ironia diventa la porta sul retro, l’unico modo per affrontare certe emozioni e continuare a scrivere.


Parlate di memoria storica, citando il passato e i suoi lati oscuri. Ma secondo voi la vita di oggi è fatta di memoria storica? O la stiamo perdendo miseramente?

La “vita” è memoria: fisica, umana, esistenziale. Ignorarla è inutile e dannoso. I lati oscuri del passato sono presenti nei comportamenti attuali, mascherati o inaffrontati. La memoria va allenata, non solo per sapere cosa è successo, ma per capire che gli abusi non sono punizioni trascendentali. Sono decisioni prese da persone consapevoli. La memoria non la stiamo perdendo, ma la stiamo sottovalutando.

 

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