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La talentuosa cantautrice catanese torna con Menzannotti, un nuovo album che è un viaggio onirico lungo nove canzoni, raccontate in dialetto siciliano e ricco di suoni e contaminazioni. L’abbiamo intervistata.

  

“In un periodo di guerra brutto come quello che stiamo vivendo manca proprio la voce di un John Lennon che scrive per la pace, che scrive per la coscienza e per una consapevolezza. E mancano quelle canzoni impegnate di Bob Dylan. Non è facile farle, io non so se ne sono capace. Ma in qualche modo l’ho fatto quando parlo di risvegli e cerco di farlo adesso attraverso i miei sogni che raccontano di Amazzoni e alieni e strane fantasie che diventano storie e canzoni”

Un album lungo un sogno è Menzannotti, il nuovo disco della talentuosa cantautrice catanese Elektra Nicotra che è uscito proprio il 21 giugno, a mezzanotte – come da titolo – nel primo giorno dell’estate, della bella stagione, auspicio dunque di cose belle in arrivo.

Una voce potente quella di Elektra, un’artista da tenere d’occhio, una giovane donna appassionata di musica, quella buona, e di immagini, storie che evocano fantasie utopistiche più reali della realtà stessa. 

Sono trascorsi ben sette anni dal disco d’esordio “Awakening” del 2017 in lingua inglese, che chi scrive presentò a Radio Città Futura all’interno del format Indieland, e in studio c’era con noi il compianto Ernesto Assante. 

Abbiamo intervistato Elektra per farci raccontare il nuovo disco, in un  videopodcast che troverete suwww.indielandradio.com oltre che su Spotify e sulle principali piattaforme podcast

Elektra, ricordo che all’epoca io e Assante profetizzammo che dopo un disco in lingua inglese ne sarebbe arrivato uno in italiano. Tu abbozzasti, ma sei andata oltre, perché il nuovo lavoro è in dialetto siciliano. Come mai?

“Sì, non ero per niente convinta, soprattutto non ero convinta dell’utilizzo dell’italiano. Qualche mese dopo ho realizzato un singolo intitolato Vulcano, e devo dire che la scrittura è avvenuta in maniera abbastanza fluida. Tuttavia, ho capito che non era quella la mia strada. Poi, siccome ciò che mi interessa maggiormente sono sempre stati più i suoni che i testi, ho scoperto che con il siciliano potevo esprimere al meglio la mia vocalità e il mio amore per le melodie mediorientali, perché il mio dialetto ha delle assonanze con quei suoni”. 

C’è molto di arabo nella cultura siciliana in effetti…

“Certo! Ed è stato naturale fare questa ricerca e poi scoprire dei tratti della mia voce che non conoscevo perché io ho sempre cantato più blues, più sporca. 

E invece in questo modo ho scoperto proprio questa mia differente caratteristica vocale ed è stato molto interessante”.

In “Menzannotti”  il dialetto della tua Catania lo fai comunque camminare a braccetto con l’inglese… 

“Sì, devo dire che io me ne frego un po’ delle regole. Ho realizzato un disco in siciliano, ma non usando un linguaggio arcaico o poetico, bensì il siciliano colloquiale che si parla a Catania, al mercato come in pescheria.

Poi, utilizzo anche l’inglese, perché credo che alcune parti funzionino meglio in questa lingua. Per me, la cosa fondamentale è sempre il suono. Quindi, se per una canzone mi viene in mente una frase in inglese che suona meglio rispetto al siciliano, o viceversa, la uso senza pensarci due volte”.

VIDEO “LENTU”:

 

 

 

Ricordo che già nel 2017 eri orgogliosa del riscontro positivo e delle ottime recensioni ricevute per il tuo primo album. Leggi ancora le (poche) riviste specializzate di musica?

“Certo! Quando ero bambina collezionavo riviste come Blow Up e Il Mucchio Selvaggio. Andavo ancora alle scuole elementari e compravo Rockerilla, compravo Jam di Ezio Guaitamacchi… Perché erano le uniche riviste che parlavano della musica che piaceva a me”.

Già Assante all’epoca ti aveva definito “una settantenne nel corpo di una ventenne”. Immagino che questi gusti “alternativi” non facilitavano un dialogo con i tuoi coetanei di allora. È stato così?

(ride) “Beh, devo dire che alle scuole elementari e medie era molto molto difficile, però poi quando sono arrivata al liceo ho smesso di sentirmi un alieno perché ho trovato delle persone come me e non riuscivo a crederci. Con alcuni di questi amici dell’epoca c’è ancora oggi un legame fortissimo, alcuni suonano con me oggi”.

La musica unisce. Quindi non eri una di quelle ragazzine che andava in discoteca la sera?

“No, assolutamente, noi già a 14, 15 anni andavamo a suonare nei locali, quindi. Ci siamo saltati la discoteca, poi da più grandi siamo andati, però alle serate reggae, che è l’unica musica che riesco a ballare”.

Nel  nuovo disco c’è un brano Specchiu  che è una sorta di reggaeton rivisitato

“Esorcizzato direi! In questo brano io all’inizio avevo messo delle tabla, delle tipiche percussioni indiane perché volevo un pezzo che suonasse molto Bollywood, per cosí dire. Ma alla fine il mio batterista e percussionista Giorgio Indaco ha iniziato a suonare questo ritmo tipicamente reggaeton. Lì per lì a noi faceva ridere, però poi ci siamo resi conto che la cosa in realtà funzionava, ci stava bene. E quindi l’abbiamo lasciato, abbiamo detto, ma dai, ma perché no?”

VIDEO “SPECCHIU”:

 

 

“Menzannotti” è un disco concept che è un sogno lungo nove canzoni. Sogni ma anche incubi, oserei dire, perché ci sono degli alieni, dei bambini con le ragnatele negli occhi, ci sei tu vestita da amazzone, ci sono monaci vestiti d’argento e balli bollywoodiani. Dimmi la verità: cosa mangi la sera prima di andare a dormire?

(ride) “Io mangio pochissimo e non mi drogo nemmeno! Pensa che non bevo neanche un goccio di alcol… In realtà, non ho mai capito perché, quando vado a dormire, vivo queste avventure così vivide e reali, tant’è che a un certo punto mi sono detta: ‘Adesso scrivo tutti questi sogni!’. E l’ho fatto da subito, appena sveglia. Di questi sogni ne ho selezionati nove e li ho trasformati in canzoni. Ma ne ho anche tanti altri scritti…”.

Quindi c’è pronto già il secondo volume, insomma?

“Esatto, se vogliamo continuare con questo tema si. È molto più facile per me parlare dei sogni perché mi identifico maggiormente in quel tipo di realtà, popolata da Amazzoni e alieni. La mia mente vive lì, in realtà. Il mio corpo è qui, che va all’Agenzia delle Entrate e fa tutte quelle cose terribili della quotidianità, ma io vivo lì, in quelle fantasie. Sono collegata a quella dimensione quando devo essere creativa. Mi risulta più semplice parlare di queste cose piuttosto che scrivere canzoni d’amore, che trovo difficilissimo e credo non riuscirei mai a farlo. Perché? Perché sento la realtà dei miei sogni più vicina a me”.

È un modo di sfuggire dalla realtà per te scrivere dei tuoi sogni? Non esistono soltanto le canzoni d’amore. Si può anche parlare del mondo che ci circonda, della guerra, della pace, dei diritti. Possono esserci anche queste tematiche, no?

“Assolutamente si. In un periodo di guerra brutto come quello che noi stiamo vivendo manca proprio la voce di di un John Lennon che scrive e canta per la pace, che scrive per la coscienza e per una consapevolezza che manca. Mancano queste canzoni impegnate di Bob Dylan. Ma non è facile farlo senza essere credibili e banali. Non è facile soprattutto riuscire a esprimere in parole semplici delle verità così crude come hanno fatto questi grandi autori che sono stati capaci di esprimersi con concetti universali.

Io lo trovo estremamente difficile. E qui si vede la differenza tra un autore creativo, fantasioso e un vero genio. Il vuoto e il silenzio si sente, si sente che le persone hanno bisogno di questi inni generazionali, hanno bisogno di un’altra We are the World, di un’altra Imagine”.

La cosa paradossale è proprio quella che stavi dicendo, ovvero che anche quando ci sono le manifestazioni di piazza per la pace, per i diritti o in difesa della Costituzione, le canzoni che si sentono sono sempre quelle. Tra gli italiani c’è De Gregori con “W l’Italia”, c’è De Andrè con “La Guerra di Piero”, però voi nuovi cantautori,  nuove cantautrici non riuscite a emergere e rompere il muro di gomma. Senti anche tu – in questo senso, – come giovane cantautrice una urgenza, una responsabilità?

“Il mio primo album, intitolato “Awakening”, narra un percorso di risveglio. Questo risveglio implica l’uscita da una sorta di letargo. Se tutti fossimo davvero svegli, il concetto di guerra non esisterebbe. Una persona consapevole ed empatica sa che la violenza non è la soluzione. Le nuove canzoni riprendono questo concetto primario perché la mia ricerca spirituale è in continua evoluzione. Il mio messaggio per gli altri è sempre quello di riappropriarsi della propria coscienza e consapevolezza.

Un esempio è la canzone “Ciauru ri ciuri”,”profumo di fiori”. Nel brano, il diavolo bussa alla porta tentando di sedurre e ingannare il protagonista. Cedere alle sue lusinghe è facile, ma il prezzo da pagare sarebbe alto. Si tratta della famosa metafora del patto col diavolo. È ciò che accade spesso nell’industria dell’intrattenimento, che ci abbaglia con cose effimere e materiali.

Penso che il nostro obiettivo, come artisti, debba essere quello di offrire la nostra arte al mondo, non di perseguire il successo in modo egoistico. Ma forse la mia è un’utopia. Molte persone cercano il successo affannosamente, ma non lo raggiungono mai. Io credo che un’attività è davvero benedetta dall’universo solo quando porta un beneficio agli altri. Se la tua musica o la tua arte possono migliorare la vita della comunità e del tuo prossimo, allora avrai raggiunto il vero successo. Al contrario, se ricerchi il successo solo per narcisismo, per diventare un influencer senza dare nulla agli altri, allora sarà effimero e privo di valore, oppure non arriverà mai. Perché il successo vero sia anche una responsabilità e non può prescindere dal dare qualcosa di prezioso agli altri”. 

Quindi a te Elektra  un’eventuale successo interessa ma fino a un certo punto? 

“Mettiamola così: mi piacerebbe avere successo solo per non dover smontare io il palco e gli strumenti da sola con la band, dopo che abbiamo suonato tantissimo! Ecco, in quei momenti penso che vorrei essere famosa e avere qualcuno che mi prenda in braccio e mi porti sul palco, e basta! (ride)” 

Finisce il concerto e ti buttano dentro una limousine, dunque, senza fatiche…

“Ecco solo per questo sarebbe bellissimo il successo! È sempre una questione molto relativa, nel senso che è ovvio che nel momento in cui pubblichi un album il tuo desiderio sia raggiungere quante più persone possibili, ma a quale prezzo? Il discorso è ovvio in fondo per me. Se potessi essere me stessa autenticamente, senza che nessuno di una major discografica mi cambi o mi “costruisca” a tavolino, allora va bene. Ma se questo significa sentirmi dire cosa indossare, come cantare e cosa fare, allora preferisco non avere successo, ma essere me stessa fino in fondo, restando autentica e reale”. 

Il tuo produttore è Giovanni Maggiore, in arte Giuvazza è uno che ha lavorato con Eugenio Finardi, con Levante, Manuel Agnelli, Paola Turci, Faso, Morgan, Alberto Fortis

“Io dico sempre che Giuvazza ha lavorato sempre con persone famose, tranne me, quindi grazie, lo ringrazierò sempre per questa fiducia”.

Qualche tempo fa hai fatto un reel sui tuoi social in cui critichi a modo tuo Sanremo e la modalità di costruire il successo di un brano a tavolino. 

Un reel diventato virale che ha raggiunto tantissime visualizzazioni. 

Ti sarai fatta molti “amici” lo sai? 

“Diciamo che ho voluto fare una critica ironica senza prendere di mira un cantante specifico, per rispetto del lavoro di tutti e per non offendere chi persegue la propria passione. Ho pensato di “giocare” e di inventarmi una canzone brutta e commentarla ironicamente. La chiamo “canzone” con un pizzico di sarcasmo, perché la musica di oggi sembra spesso piegata alle logiche del marketing, con studi di mercato che dettano i gusti del pubblico. Dove lo stile dei testi riprende un po’ quello di cui ironizzano nella serie TV Boris dove gli sceneggiatori della fiction Gli Occhi del Cuore scrivono mentre giocano a tennis con automatismi inaccettabili. Per me questo è il crollo definitivo dell’arte”.

Vero. Però credo che ci sia sempre una via di mezzo. Pensiamo, ad esempio, a due artisti che entrambi stimiamo: Colapesce e Dimartino. Entrambi avevano pubblicato album da solisti prima del loro successo come duo. Avevano un pubblico di nicchia, e non avevano raggiunto il grande successo che hanno ottenuto insieme. Questo grazie a brani più orecchiabili, pur mantenendo, secondo me, il loro stile e la loro qualità. Non credi? 

“Questa è la vera sfida: trovare il giusto equilibrio tra essere commerciali e accattivanti senza scadere nella banalità. Dopotutto, l’album più venduto della storia della musica, “Thriller” di Michael Jackson, ed è un capolavoro! 

La sfida per noi che proviamo a essere artisti, quindi, è quella di creare brani che piacciano al grande pubblico ma che siano allo stesso tempo di valore, capaci di resistere al tempo e di emozionare anche a distanza di decenni. Questo è il compromesso che cerco anch’io. Io amo band di nicchia come i Gentle Giant, per esempio, che persino negli anni ’70 erano poco conosciuti perché facevano un genere come il prog in una chiave molto alternativa, ma non sono loro il mio modello. Il mio compromesso – chiamiamolo così –  è piuttosto quello di ispirarmi a Michael Jackson, creando musica che sia popolare e di qualità al tempo stesso”. 

Ambizioni alte. Ti ci vorrebbe un Rick Rubin, storico e grandissimo produttore. Uno che ha lavorato con i Beastie Boys, Public Enemy e Run Dmc, ha reso delle stelle i Red Hot Chili Peppers, ha fatto rinascere Johnny Cash e, nel frattempo, ha prodotto dagli Ac/Dc a Adele, dai Black Sabbath a Ed Sheeran fino al nostro Jovanotti, unico artista italiano da lui prodotto…

“Rick Rubin, sì, sì, sì. Non sapevo che lavorasse adesso con Jovanotti.  Beh, fantastico”.

Cosa ascolti oggi, quali artisti stimi?

“Amo Anderson Pack, che non solo è un rapper, è punk, è blues: è un artista che adoro. Io amo tantissimo la black music. E lui è l’artista che più stimo attualmente tra quelli di oggi. Mi piacciono tantissimo anche i Portishead, i Massive Attack, il cosiddetto Bristol sound.

Dagli anni 90 sono stata influenza tantissimo anche dai Garbage, dai primi dischi dei Radiohead con i loro suoni elettronici, intriganti, belli”.

In quell’intervista che ti facemmo io ed Assante, Ernesto, che non ti conosceva, rimase molto colpito alla tua passione per gli strumenti vintage..

“Quel giorno mi hai fatto una sorpresa grandissima! Non avevo idea che lui sarebbe stato lì, quindi è stata una cosa fantastica. Pensavo: “Mamma mia, spero che gli piacciano le mie canzoni!”. Quando poi ho capito che stava apprezzando quello che stavo suonando, ero al settimo cielo. Ero anche un po’ tesa perché dovevo suonare con lui accanto, avevo paura di sbagliare gli accordi o di stonare, ma alla fine me la sono cavata abbastanza bene, dai!”

Direi di si. Tant’è che la settimana seguente sei stata invitata alla sua mitica Web Notte che conduceva con Gino Castaldo. In quella puntata, tra gli altri ospiti, c’era anche Paola Cortellesi. Ernesto era uno che capiva subito se un artista non gli piaceva. C’era poi una domanda finale che usava per capire l’artista e le sue ambizioni: ‘Hai un piano B rispetto alla musica? 

“Delle serie: Elektra sai impastare anche la pizza!?” (ride)

Ecco a proposito:  Elektra hai un piano B rispetto alla musica?

“Io già vivo nel mio piano B! Perché comunque io sono anche una giornalista di moda, lavoro per una redazione di Roma e faccio la stylist. Poi mi occupo di grafiche. Ora sto collaborando con una designer e realizzo le grafiche che poi vengono stampate nei tessuti. 

In questo momento stiamo lavorando a una collezione ispirata a Bob Marley molto anni 70, con queste modelle super belle in bikini con costumi interi tutti molto in stile reggae…”

Il tuo lavoro di stilista e di grafica si intreccia e completa quello della musicista. Nei tuoi videoclip è ben evidente ma anche nella grafica del tuo disco. A partire dalla copertia di “Menzannotti” che è un quadro praticamente.  Cosa raffigura? Dimmi la verità, non ti ha aiutato l’intelligenza artificiale? 

“Assolutamente no! Questa copertina è a tutti gli effetti un collage digitale. 

Ho realizzato l’opera prendendo diverse immagini, ritagliandole e unendole tra loro, proprio come se avessi utilizzato carta, forbici e colla, ma il tutto è stato fatto su Photoshop. La copertina si ispira a una delle canzoni dell’album, in particolare al sogno A Navi Ri Petra, dove ho immaginato una nave di pietra che mi riportava alla mente elementi della cultura Maya. Per raffigurare questo disco volante, ho ritagliato l’immagine del coperchio di un sarcofago peruviano, dandogli la forma di un disco volante. Sopra di esso, ho posizionato una luna. Nel mio sogno, da sotto questa navicella spaziale di pietra emergevano dei giganti con l’aspetto degli eroi dell’antica Grecia. La figura dell’uomo proviene da una locandina di un film di Maciste degli anni ’60, ritagliata e adattata al contesto. Infine, ho inserito una maschera azteca, dato che la maschera di Batman si ispira proprio a questo tipo di manufatti ”

QUI LA MUSICA DI ELEKTRA NICOTRA:

In un brano parli di Affanno Ru Tempu . Ovvero la frenesia del tempo. Ti fa paura il tempo che passa?

“A me no ma alla società si, Io sono molto tranquilla, infatti è da 7 anni che non pubblico un album. Io non ho questa inquietudine del tempo…”

Come fai a ricordarti i sogni che fai? Cioè, io non mi ricordo niente quando sogno…

“Mi ricordo quelli particolarmente pieni di dettagli. Tu pensa che due anni fa ho fatto un sogno, ci sono volute ben quindici pagine per scriverlo. Quello se dovessi trasformarlo in una canzone sarebbe quasi  di 15 minuti”.

Perché hai chiamato il disco Menzannotti?

“Questo album si doveva chiamare The Midnight Tales , i racconti della mezzanotte. Poi  ho deciso di fare il titolo in siciliano, in una sola parola, Mezzanotte appunto, quando le persone dormono e sognano”.

C’è un vecchio proverbio siciliano che dice “Cchiù scuru di mezzanotti un po’ fari” e racchiude una profonda saggezza popolare: dopo il momento più buio, la notte, può arrivare solo l’alba, portando con sé la luce e la speranza. E’ cosi per te?

“E certo, perché comunque dopo il buio deve per forza arrivare la luce, e l’uno non può esistere senza l’altro, quindi è bello come concetto. Sono una persona molto positiva, propositiva e innamorata della vita”.

Il featuring, la collaborazione dei sogni con un artista italiano?

Elio e le storie tese! I miei preferiti, geniali, ironici, con suoni e arrangiamenti pazzeschi della loro musica. Adoro gli Elii e sarebbe davvero meraviglioso fare qualcosa insieme a loro”.

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