La musica come punto di partenza
Il vostro progetto ribalta il paradigma classico del cinema, ponendo la musica al centro della narrazione. Come pensate che questa prospettiva possa influenzare il modo in cui le storie vengono raccontate e vissute dal pubblico?
Abbiamo scelto di partire dalla storia scritta per poi tradurla in musica perché volevamo esplorare un’idea profonda: la musica non come decorazione della narrazione, ma come sua essenza stessa. La musica ha la capacità di catturare emozioni e significati in una forma pura e universale, al di là delle parole e delle immagini.
È come se volessimo cogliere l’anima delle storie e darle una voce che parla direttamente ai sentimenti, senza bisogno di spiegazioni. Ribaltare il processo classico significa credere che la musica possa contenere già in sé una narrazione completa, pronta per essere percepita e vissuta dal pubblico.
In un certo senso, è un invito a vivere le storie in modo più istintivo e meno razionale, lasciando che i suoni evocati dalle note diventino simboli, atmosfere e pensieri che si intrecciano con le immagini interiori di ognuno. Questa prospettiva suggerisce che ogni storia può esistere in diverse dimensioni: quella della parola, quella della visione e quella della musica. Ponendo la musica al centro, è come se permettessimo alla narrazione di respirare in una forma più fluida e aperta. Il pubblico non è più un semplice spettatore ma diventa parte attiva del processo interpretativo, costruendo il proprio viaggio emozionale guidato dai suoni.
Arte e tecnologia: una nuova sinergia
Avete collaborato con un modello linguistico avanzato per sviluppare la storia che accompagna l’album. Qual è stato il contributo più significativo di questa collaborazione tra intelligenza artificiale e creatività umana nel plasmare il progetto?
La collaborazione con un modello linguistico avanzato è stata come un dialogo continuo tra logica e intuizione, tra algoritmi e immaginazione. L’IA ci ha offerto uno sguardo nuovo, una sorta di specchio che rifletteva le nostre idee in modi inaspettati. Il suo contributo più significativo è stato proprio questo: mettere in discussione i nostri percorsi creativi e suggerirne di alternativi.
L’intelligenza artificiale ha una capacità straordinaria di analizzare, rielaborare e combinare elementi in modi che spesso sfuggono alla mente umana. Ci ha aiutato a spogliare le idee di qualsiasi sovrastruttura e a restituircele in una forma più essenziale, più diretta. Questo ha permesso di esplorare temi complessi con una chiarezza nuova, quasi distillata, come se l’IA riuscisse a vedere attraverso la trama e a individuare i fili narrativi più nascosti.
Non è stata una sostituzione della creatività umana, ma un’estensione di essa. La macchina ci ha stimolati a esplorare sentieri che da soli forse non avremmo battuto, a porci domande diverse e ad accogliere soluzioni fuori dagli schemi. È una sinergia in cui l’umano dà forma all’emozione e l’IA fornisce nuove possibilità per esprimerla, creando un equilibrio tra controllo e scoperta.
Quattro vite, quattro città
Le storie dei personaggi attraversano contesti culturali e geografici profondamente diversi. In che modo queste diversità si riflettono nella composizione musicale e nel messaggio complessivo dell’album?
Le storie dei personaggi toccano realtà molto diverse tra loro – Tokyo, New York, Rio de Janeiro, Lagos – e questa varietà si riflette naturalmente nella musica. Ogni pezzo cerca di catturare non solo il luogo fisico, ma anche l’atmosfera e le emozioni legate a quei contesti.
Abbiamo usato suoni, ritmi e strumenti che richiamano le culture di queste città, ma senza cadere in cliché. Non si tratta di una musica “etnica” in senso stretto, ma di evocare sfumature, dettagli, quel senso di appartenenza e di spaesamento che i personaggi vivono nelle loro storie. Ad esempio, c’è un’energia metropolitana nei brani dedicati a New York, una precisione quasi meccanica nei pezzi su Tokyo, o un senso di nostalgia e resistenza nelle tracce che richiamano Lagos e Rio.
A livello di messaggio, queste differenze musicali ci ricordano che, nonostante le distanze culturali e geografiche, alla fine c’è una lotta comune che lega tutti i personaggi: il bisogno di andare avanti, di ricostruire, di trovare una nuova strada. La musica diventa quindi un linguaggio universale che attraversa le barriere, mostrando che, anche se le sfide sono diverse, l’esperienza umana è condivisa.
Un futuro per la colonna sonora
“Instrumental Ensemble” invita a immaginare un futuro diverso per la produzione musicale nel cinema. Quali cambiamenti sperate che questo progetto ispiri nei processi creativi e nell’industria cinematografica?
Con Instrumental Ensemble vogliamo sfidare l’idea tradizionale di colonna sonora come semplice accompagnamento. Perché limitarci a seguire la narrazione quando la musica può essere il motore stesso della storia? Immaginare un film partendo dalla musica significa dare alla colonna sonora il potere di plasmare l’intero universo narrativo, di guidare emozioni e immagini fin dall’inizio, non come una rifinitura, ma come la scintilla che accende tutto.
Speriamo che questo progetto ispiri registi e creativi a osare di più, a ribaltare le regole. Perché non può essere la musica a suggerire le scene, i personaggi, le svolte della trama? Perché non può essere la musica a dettare il ritmo della storia? In un mondo dove la tecnologia sta trasformando i processi creativi, abbiamo bisogno di visioni più libere e meno prevedibili.
La colonna sonora non è un’ombra della narrazione: può essere la narrazione stessa, un’energia che spinge tutto il resto a prendere forma.