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Dagli esordi con gli Estranea ai progetti più intimi con i Milagro, fino all’approdo maturo del suo primo album da solista, Antonio Capolupo – in arte semplicemente Capolupo – ha attraversato generi e stagioni con una scrittura che non ha mai smesso di cercare un centro emotivo, una verità fragile ma autentica. La sua musica è un dialogo costante tra luce e ombra, tra l’urgenza di raccontare e il bisogno di restare in ascolto. In questa intervista ci conduce tra le stanze del suo ultimo lavoro, “Un giorno qualunque bellissimo”, con parole misurate e sincere, come chi ha imparato che la bellezza può nascondersi anche nei dettagli più silenziosi.

 

Nel titolo “Un giorno qualunque bellissimo” c’è un’apparente contraddizione che diventa poetica. Antonio, quanto ti interessa, nella scrittura, rovesciare la percezione del “banale” per restituirgli un valore nuovo? 

È un aspetto che mi affascina e che cerco di curare, nel tentativo di provare a dare una nuova prospettiva ad aspetti già raccontati di frequente nelle canzoni, perché a volte non è tanto importante cosa ma come.

C’è un equilibrio raro tra malinconia e dolcezza nel tuo nuovo singolo, quasi un sorriso trattenuto sotto pelle. È un registro che hai cercato consapevolmente o è emerso da solo, durante la scrittura? 

Mi piace pensare che sia una dedica intima, sussurrata, arrivata per esprimere un profondo senso di gratitudine per ciò che è stato, per riaffermare quel patrimonio di esperienze vissute e condivise, e che attraverso questa canzone hanno avuto l’opportunità di essere celebrate.

Dopo “Tra i miei disordini”, che scavava nel vuoto interiore, ora sembri affidarti alla luce più che all’ombra. È un cambio di prospettiva, o semplicemente un altro modo per raccontare lo stesso tumulto? 

 

“Tra i miei disordini” è un brano che raccoglie tutte le anime del disco, tra le quali “Un giorno qualunque bellissimo” che rappresenta uno dei momenti più luminosi dell’intero album, dove i piccoli gesti diventano un rifugio sicuro, per superare insieme le inevitabili tempeste della vita.


Il tuo brano è costruito su una pulsazione terzinata, quasi cullante, ma la produzione rimane pulita, misurata. Che tipo di dialogo hai voluto creare tra testo e suono? 

 

Per mantenere quel senso di leggerezza e di sognante sospensione presente nel brano ho scelto di vestire la canzone con suoni elettro larghi in modo che il testo e la melodia potessero scorrere avvolti in una atmosfera caratterizzata dall’utilizzo di kit elettronici per la ritmica e con l’uso denso di synth di matrice cinematica, ispirati dall’arrangiamento di “Always in my head” dei Coldplay. 

Ogni tuo progetto sembra una stanza diversa della stessa casa: alcune luminose, altre più in penombra. Se tornassi indietro a bussare a quelle porte – Estranea, Milagro – cosa troveresti ancora vivo lì dentro, e cosa invece hai chiuso a chiave senza rimpianti? 

Penso ci sia un unico filo conduttore che unisce tutti i progetti, legati dal desiderio ed a volte dalla foga di riscattare un vuoto esistenziale profondo. Dagli Estranea più sanguigni ed energici, ai Milagro più intimi ed introspettivi fino a giungere a questo nuovo inizio di cantautore sempre in viaggio alla ricerca di se stesso. Seppur con colori e mondi diversi, ho sempre raccontato la vita attraverso le canzoni, ed i brani sono come fotografie che immortalano il momento, come se rappresentassero cronologicamente uno dopo l’altro un diario di vita.

“Un giorno qualunque bellissimo” parla di un amore che si consuma nella quotidianità, ma senza cinismo. In un tempo in cui spesso si canta per esorcizzare o per accusare, tu sembri preferire la gratitudine. È una scelta artistica o esistenziale? 

Credo sia un tutt’uno, la vita artistica è specchio delle scelte esistenziali, solo così sento si possa esprimere in maniera autentica la propria essenza. 

Prima di lasciarti con un in bocca al lupo ti chiediamo: cosa ti aspetta ora? 

Mi auguro di proseguire questo viaggio artistico, perché la creatività è un dono prezioso da accogliere a cuore aperto…

One Comment

  • Giovanni ha detto:

    Disco bellissimo, Tra i miei disordini di Capolupo, che non esito a chiamare capolavoro in un decennio – o forse – più di uscite discografiche di molto inferiore qualità artistica. A cominciare dalla stesura compositiva di musica, parole, linee melodice, agli arrangiamenti curati, centrati, sempre in perfetto equilibrio con quello che la voce sta raccontando. Produzione e mixaggio sono impeccabili, i suoni ci sono tutti, distribuiti, definiti e nel contempo piacevolmente mescolati
    Questo disco non arriva al primo ascolto, ma già dal secondo comincia a portarti da un’altra parte e te lo ritrovi sempre con te, resta più nel cuore che nella mente, senza mai essere di troppo. E’ sempre la a mostrarti la strada che porta alla primavera, quella che tutti aspettiamo dopo un freddo inverno
    No, dai, cosa si può dire di questo disco? Trovatemene un altro che passi dentro così, lasciandoti almeno un po’ cambiato. E ditemi se questa non è una cosa sempre più rara

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