“Bellissimi e infelici” è un titolo che sembra già racchiudere tutto il mondo di Mariano Casulli: un luogo emotivo in cui la fragilità non è una debolezza ma un linguaggio, e la bellezza non sta nel mostrarsi perfetti, ma nel raccontarsi senza difese. Il nuovo album del cantautore si muove esattamente qui, in questo equilibrio sottile tra confessione e consapevolezza, tra ciò che siamo e ciò che facciamo finta di essere.
Casulli costruisce un disco che parla di relazioni, di identità, di smarrimento, ma lo fa con una delicatezza rara. La scrittura è intima senza diventare autoreferenziale: spesso dà voce a personaggi femminili, a sensibilità che non sempre la canzone d’autore maschile sa rappresentare con credibilità. Qui, invece, la prospettiva cambia in modo naturale, quasi spontaneo.
Musicalmente, il disco si muove tra un pop pulito e atmosferico e la cura tipica della narrazione cantautorale. Non c’è ostentazione, non ci sono soluzioni furbe: le canzoni respirano, lasciano spazio ai silenzi, ai ripensamenti, alle incrinature. Sono brani che sembrano nati più per farsi ascoltare che per colpire; più per accompagnare che per sedurre.
Ci sono momenti più luminosi e altri decisamente malinconici, ma l’album rimane sempre coerente: una collezione di frammenti, di confessioni sussurrate, di tentativi di capire chi siamo quando i riflettori si spengono. Nelle sue parti migliori, Casulli riesce persino a trasformare la vulnerabilità in un gesto politico: ricordarci che la realtà che viviamo è fatta di imperfezioni, di cadute, di ricomposizioni continue.
“Bellissimi e infelici” è un disco che non alza mai la voce, ma che lascia un segno. Un album che non vuole essere facile, né consolatorio, ma autentico. E oggi, nel pop italiano, non è poco.


