Alfredo Marasti torna con Lutero 2.0, un brano che esplora il concetto di crisi identitaria in un mondo dominato da maschere e schermi. Il singolo anticipa l’album Il Dimenticatoio – Canto monumentale alle identità perdute, un concept che affronta il tema dell’identità in una società sempre più frammentata. Attraverso immagini evocative e simbolismi potenti, Marsati racconta il viaggio di un’anima in conflitto con se stessa, incarnata nel videoclip da una figura enigmatica interpretata da Elena Gigliotti. In questa intervista, l’artista ci guida tra le sfaccettature del suo nuovo lavoro.
Nel brano parli di una crisi identitaria che sfocia in un personaggio “mostruoso”. Ti sei mai sentito vicino a questa figura?
Diciamo che ho avuto il timore di diventarlo. Ce l’ho ogni volta che esito a scrivere qualcosa in una canzone per paura di infastidire qualcuno. È la tentazione di uniformarsi a uno dei tanti “schermi” che ci circondano. Poi, salvo rarissime eccezioni, ci ripenso e lo scrivo lo stesso.
Nel videoclip ci sono elementi simbolici molto forti, come la figura femminile che prende il controllo della situazione. Cosa rappresenta per te questo personaggio?
La figura incarnata da Elena Gigliotti non va intesa semplicemente come “femminile” nel senso di genere. Ha un’estetica femminile perché ci siamo ispirati a Miss Danvers, la rigida governante del film Rebecca di Alfred Hitchcock, custode di un’antica dimora in cui nessuna tradizione può essere violata. Vorrei menzionare Federica Matarese, la truccatrice, che ha fatto un lavoro imponente con l’acconciatura. Elena, come attrice, ha dato un contributo immenso esplorando con gli occhi, i movimenti del corpo e del volto questo personaggio molto astratto, quasi un’idea personificata. Ma soprattutto mi ha fatto il regalo di seguirmi in quest’avventura.
“Il Dimenticatoio” ha un sottotitolo evocativo: “Canto monumentale alle identità perdute”. Cosa dobbiamo aspettarci da questo album in arrivo?
È un concept album sul tema dell’identità, declinato in 12 tracce. Parto dalla mia, o meglio da quella del “me” liceale, raccontato come una specie di bandito, per arrivare a quella presente e ai conflitti identitari ed economici che stanno sgretolando l’Europa. Potrebbe sembrare un disco “identitario”, invece finisce per essere quasi contro-identitario, perché dice che i casi sono due: o accettiamo che queste identità molteplici convivano tutte insieme (come sinceramente io penso, con una queerness che non è solo sessuale), oppure ammettiamo che nessuna di esse esiste. L’identità, per me, come concetto assoluto, non ha senso.
Se dovessi riassumere “Lutero 2.0” con una sola immagine o metafora, quale sarebbe e perché?
Lo riassumerei con l’immagine dello specchio, in cui Lutero per pochi attimi vede il proprio volto prima che Elena lo copra con un velo e gli metta davanti uno schermo. Siamo talmente storditi dagli schermi che abbiamo intorno da non riuscire più a vedere davvero chi siamo, con buona pace di tutte le nuove etichette che inventiamo per appiccicarcele addosso.