La musica di Alberto Cipolla è un viaggio tra emozione e sperimentazione, tra sonorità classiche ed elettroniche che si intrecciano in un linguaggio espressivo unico. Con una carriera che spazia dal cinema alla televisione, dal teatro al pop, il suo percorso è una continua ricerca artistica. Il suo nuovo progetto, “A Dream of Summer”, nasce dall’unione di due idee rimaste sospese nel tempo, dimostrando ancora una volta quanto l’attesa e la maturazione siano fondamentali nel processo creativo. Ne abbiamo parlato con lui in questa intervista.
“A Dream of Summer” nasce dall’unione di due idee musicali rimaste in sospeso per molto tempo. Quanto è importante per te il concetto di “attesa” nella creazione artistica? Ti capita spesso di recuperare intuizioni nate anni prima e trasformarle in qualcosa di nuovo?
Per me è un concetto estremamente importante. L’idea iniziale, la scintilla, nasce in un attimo e in pochi minuti si può delineare l’ossatura di un brano, magari anche un testo. Ma sono convinto che il lavoro di fino e la cura dei dettagli siano ciò che rende davvero completa un’opera. Spesso darsi il tempo di metabolizzare ciò che si è scritto, riascoltarlo, capirlo e lasciarlo maturare permette all’opera di essere davvero rappresentativa dell’autore nel momento della sua pubblicazione.
Mi capita spesso di lavorare su idee che lascio decantare per molto tempo. Difficilmente sviluppo un brano con l’obiettivo di arrivare subito alla sua forma definitiva. A volte riprendo bozze o canzoni quasi finite, le riascolto e, se trovo uno spunto interessante, le porto a compimento con una nuova veste.
La tua musica è un equilibrio raffinato tra classica ed elettronica, tra orchestrazione e sperimentazione. C’è stato un momento nella tua carriera in cui hai capito che questo sarebbe stato il tuo linguaggio espressivo?
Non c’è stato un momento preciso, ma piuttosto un periodo di formazione, intorno ai 19-20 anni. Già da adolescente mi divertivo a produrre pezzi dance e techno, mentre studiavo pianoforte classico e ascoltavo di tutto, dalle colonne sonore di film e videogiochi all’indie rock. Passavo ore a suonare a orecchio brani di Nobuo Uematsu.
Quando ho ascoltato “Les Retrouvailles” di Yann Tiersen, ho amato il modo in cui si esprimeva senza essere vincolato a un genere preciso. Quella libertà mi ha ispirato a scrivere “Carol in The Rain”, il primo pezzo che ha inaugurato il mio progetto personale. Da lì ho seguito il mio istinto, dando spazio alla ricerca sonora più che all’appartenenza a un genere preciso. Oggi nel mio linguaggio convivono strumenti classici, chitarre elettriche, pianoforte minimalista, beat elettronici e bassi synth.
Hai lavorato in contesti molto diversi, dal cinema alla televisione, dal teatro al pop. Qual è la sfida più stimolante quando passi da un genere all’altro? E quale di questi mondi senti più vicino a te?
Quando lavoro a un progetto, che sia per il cinema, il teatro o la TV, il mio obiettivo non è solo esprimere me stesso, ma anche sposare la mia visione con quella di un altro artista, che sia un regista, un drammaturgo o un direttore musicale. La sfida più stimolante è proprio questa: trovare un punto d’incontro che arricchisca entrambe le visioni.
Se dovessi scegliere un mondo a cui mi sento più vicino, direi il cinema. L’idea di raccontare una storia attraverso la musica, costruendo una colonna sonora da zero, è estremamente affascinante. Ho vissuto un’esperienza simile con il teatro, quando ho potuto lavorare a stretto contatto con il regista per creare le musiche della produzione “Troiane” della compagnia torinese Fools.
Hai calcato il palco di Sanremo come arrangiatore e direttore d’orchestra per artisti di primo piano. Cosa si prova a essere parte di uno show così imponente e, soprattutto, qual è stato il momento più emozionante dietro le quinte?
Sanremo è una macchina gigantesca, fatta di centinaia di ingranaggi. Al pubblico arrivano solo gli artisti in gara e i conduttori, ma dietro le quinte c’è un lavoro immenso. Essere parte di quel meccanismo è un’esperienza incredibile, anche se molto intensa e stancante.
Dopo un mese e mezzo di lavoro sugli arrangiamenti e sulle prove, la settimana sanremese è estremamente impegnativa. Superata la fase iniziale di tensione, però, si trasforma in puro divertimento. Il momento più emozionante per me è stata la primissima prova, a Roma, nel mio primo Sanremo nel 2020. Non conoscevo ancora gli orchestrali, le dinamiche, il funzionamento di molte cose: è stato un vero tuffo in un’esperienza straordinaria che porterò sempre con me.



