Questo mese la libreria di Bathers, in Oakland, California è stata animata da una serie di eventi dall’evocativo titolo “Death 2 Spotify“. L’iniziativa, a cui partecipano collettivi di DJ, speaker radiofonici, proprietari di etichette discografiche indipendenti, ha avuto un ampio seguito. Ogni serata ha registrato il sold out, mentre crescono le adesioni da oltreoceano: gli organizzatori spiegano di aver ricevute richieste da Barcellona e perfino dall’India per creare eventi simili.
Insomma, è nato un movimento che guarda con ostilità al modello economico imposto dalle piattaforme streaming come Spotify e si chiede come liberare la musica dai meccanismi e dalle logiche economiche che, a loro giudizio, “svuotano di senso” la creatività.
A promuovere gli incontri di Oakland sono state Stephanie Dukich e Manasa Karthikeyan, due appassionate di suono e media digitali. Spotify è ormai intrecciato con il modo in cui ascoltiamo musica,” spiega Dukich. “Abbiamo voluto creare uno spazio per chiederci cosa significa davvero togliere le nostre canzoni da lì.” Il messaggio è chiaro: meno algoritmi, più consapevolezza.
Il ragionamento degli organizzatori non verte però solo sull’aspetto economico, e quindi sui compensi modesti riconosciuti ad ogni artista per singola riproduzione della loro musica, ma anche sul mutamento dell’esperienza d’ascolto. La tesi è che l’avvento della piattaforma abbia avuto implicazioni profonde, svuotando di significato e spiritualità la musica, creando legioni di ascoltatori passivi, ipnotizzati da playlist che premiano sonorità blande, adatte a rimanere di sottofondo, senza ispirare o emozionare.
“Anche gli ascoltatori possono fare la loro parte”, sostiene Karthikeyan. “Rinunciare all’accesso immediato a tutto ti costringe a pensare davvero a cosa stai sostenendo.”
Quello di Death 2 Spotify non è uno sfogo estemporaneo, ma la maturazione di anni di richieste, critiche e quindi battaglie nate all’interno di una parte della scena musicale. Gli artisti che hanno rimosso – per breve tempo o permanente – il loro catalogo da Spotify è sempre più ampia; perfino Taylor Swift ha boicottato la piattaforma per tre anni, per poi tornare come se nulla fosse successo. A gennaio il saggio ‘Mood Machine‘ ha puntato il dito contro le piattaforme, accusandole di aver prodotto danni irreparabili all’industria. Questa estate le proteste si sono spostate contro Daniel Ek, co-fondatore e volto di Spotify, accusato di aver investito in un’azienda che sviluppa AI per gli eserciti.
Secondo Eric Drott, docente di musica all’University of Texas, questa nuova ondata di proteste sembra diversa da quelle precedenti e potrebbe sortire effetti duraturi. “Per anni gli artisti erano consapevoli che Spotify non gli avrebbe resi ricchi, ma era comunque fondamentale per ottenere visibilità”, ha commentato. “Ora però c’è così tanta musica là fuori e le persone iniziano a chiedersi se ne valga davvero la pena”.
Sul tema, Will Anderson, volto del gruppo rock Hotline TNT, ha detto che la sua band non tornerà mai su Spotify (“c’è un 0% di possibilità”), spiegando che non avrebbe “minimamente senso per chi è davvero appassionato di musica”, dato che lo scopo di Spotify è far dimenticare alle persone cosa è in riproduzione, appiattendo tutti i brani in una marmellata informe. Per un gruppo indipendente come il suo, questo approccio sembra vincente: l’ultimo album non è stato distribuito su nessuna piattaforma, al contrario, è stato messo in vendita solo su Bandcamp e promosso con una live di 24 ore su Twitch. Risultato? Vendite per diverse migliaia di dollari. Moltissimi altri artisti stanno scegliendo la stessa strada.
Tornando a Death 2 Spotify, gli organizzatori ammettono che l’obiettivo non è realmente uccidere, e quindi distruggere, Spotify, ma piuttosto spingere artisti e fan a ripensare il modo in cui vivono la musica. “Se ci affidiamo solo agli algoritmi,” dice Karthikeyan, “rischiamo di appiattire la cultura e perdere la curiosità che rende l’ascolto qualcosa di umano.”
FONTE: Morte a Spotify, nasce il movimento per liberare la musica dalle piattaforme


