L’avevamo scritto qualche settimana fa, dicendo che i concerti, in Italia, costano troppo e i soldi degli spettatori non sono infiniti – anzi, il potere d’acquisto si sta erodendo. Per carità, ci sono motivi (relativamente) legittimi dietro l’incremento dei prezzi: una grande attenzione per la musica dal vivo, sulla scia delle riaperture post-pandemia, con i live mai così affollati; i cachet degli artisti, più o meno esorbitanti perché, con la crisi del mercato e gli streaming che pagano poco, quello resta il loro unico modo per monetizzare davvero; e l’allestimento, di conseguenza, di show sempre più all’avanguardia, per il solo fatto che un prezzario alto ha bisogno – si spera, non è sempre così – di eventi all’altezza, che quindi coinvolgono professionisti di alto livello in tutti i settori (e che spesso vanno pagati prima, ecco perché gli stadi hanno le agende piene già per il 2026). Eppure, lo ripetiamo, i costi sono spesso eccessivi.
Chi ha annullato i concerti
Sono fatti delle ultime settimane, segno di un’estate, la prima dal 2022, in cui questo sistema può davvero rivelarsi la bolla che si dice. E scoppiare. Tra gli ultimi, Bresh e Rkomi. Il primo ha annullato la tranche estiva del tour, dicendo di essere andato lungo con la lavorazione del nuovo disco (è uscito il 6 giugno) e di non riuscire ad allestire per tempo uno show all’altezza. Postilla, sempre lui: “Alcune date in prevendita stavano andando bene, altre meno”. Meglio concentrarsi sui palazzetti autunnali, già annunciati da tempo e la cui prevendita non sta invece andando male: si spera di “spostare” lì il pubblico estivo ed evitare spargimenti di sangue. Più radicale la scelta di Rkomi, che ha fatto saltare i palazzetti in autunno per “scelta artistica”: visto che Decrescendo, il suo ultimo album, è molto intimo, ha trasferito il tour nei teatri, rompendo con l’agenzia che aveva prenotato le grandi arene (Live Nation), che comunque non è che stessero volando.
Ma è un problema che riguarda tutte le generazioni. I CCCP, per esempio, hanno spostato la data d’inizio del loro tour d’addio dall’impianto estivo del Circo Massimo di Roma (fino a 10mila posti) nella ben più piccola Cavea dell’Auditorium Parco della Musica (appena 3mila posti, neanche sold out). Sempre al Circo Massimo ci sarà Tony Effe, dove tira un’ariaccia: le prevendite non sembrano essere andate bene, la data di Milano è già stata derubricata da grande evento a Fiera Milano Live ad apertura di J Balvin nel meno capiente Carroponte. E poi, i The Kolors hanno “anticipato” le date autunnali all’estate – anche qui, in posti più piccoli – mentre Benji e Fede le hanno posticipate con la stessa logica. O, ancora, feste come il Teenage Dream, che avrebbero dovuto debuttare nei palasport, alla vigilia dell’esordio hanno dovuto tirare il freno di emergenza.
La svendita degli stadi
Per non parlare degli stadi: ha fatto scalpore la notizia dei biglietti a 10 euro per riempire il parterre del San Siro di Elodie, ma basta un giro su Ticketone, nelle date di vari artisti italiani, per rendersi conto che solo Vasco Rossi e pochi altri possono permettersi dei veri sold out; per gli altri, si clicca sull’opzione “scelta in pianta” per osservare quanti e quali posti restano disponibili, e scoprire che spesso sono migliaia. E lo stesso discorso è valido per i palasport. E non è neanche vero che è un problema solo del pop: un gruppo simbolo dell’alternative nostrano, Il Teatro degli Orrori, fresco di reunion, in primavera ha annullato due date nei club di Bari e Napoli, per scarse prevendite. Mentre lo scorso anno era già capitato ai Negramaro, fare marcia indietro.
Il punto? Quasi nessuno di questi artisti – o dei loro management, o delle agenzie di live – vi dirà la verità. Certo, c’è un rimborso, ma disporlo così, sotto il termine ombrello di “motivi organizzativi”, non è un granché, anche perché spesso i fan si organizzano con mesi d’anticipo, pagandosi trasferte che nessuno, in ogni caso, gli rimborserà.
Perché si annullano i concerti
Il fatto è che, semplicemente, si è tirata troppo la corda. Con i calendari – a volte è richiesto il dono dell’ubiquità – e i prezzi. Ma anche con le location. Il circolo vizioso post pandemia, infatti, ha da un lato incrementato l’economia dei live, con concerti negli stadi e il resto, ma dall’altro lato ha indebolito tutti quei posti intermedi – club, festival medi o piccoli – che sono stati lasciati indietro, perché non servivano più, perché improvvisamente, anche a livello di comunicazione, contava fare lo stadio, il palasport, la grande arena. Ebbene: questo sistema oggi presenta il conto. Non ci sono soldi e persone per riempire tutti e solo i grandi spazi, a cui inevitabilmente vengono destinati anche gli artisti con uno storico più debole alle spalle (e, ma si sta capendo ora, non serve essere fenomeno del momento per riempire un’arena, ma un artista con un repertorio ampio e consolidato).
Per una dinamica tossica di comunicazione e opportunità, siamo al punto in cui tutti devono fare certi numeri, scordandoci che non tutti possono fare certi numeri. E la soluzione, come dimostrano il silenzio delle grandi agenzie, l’anonimato di certi annunci di passi indietro, è nascondere solo la polvere sotto il tappeto. Basterà? Affatto. Oltre al danno d’immagine, c’è chi si farà male anche nella vita. Su tutti i cantanti stessi, a cui di solito le agenzie pagano – o comunque, hanno pagato – larghi anticipi, con la promessa di rientrarci: siccome da un palasport mezzo vuoto non ci si rientra mica, a livello di soldi, la conseguenza sarà suonare per un’estate in piazza, gratis, dove decide l’agenzia, per riparare le perdite. Niente di buono. Probabilmente già da questo autunno si ripartirà dal basso, quindi. Con un taglio, forse, sui cachet. Sempre sperando che ci siano posti in cui fare concerti di livello medio: concerti che, ripetiamolo, non hanno niente di male, anzi; è solo che tanti si sono dimenticati che quella, per ora, è la loro dimensione.
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Concerti annullati? Era già tutto previsto, si è tirata troppo la corda
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