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Con un PrimaFestival che conferma ancora una volta la propria inutilità, condotto da una Paola eccessivamente ed inutilmente su di giri e una Chiara con lo stato d’animo diametralmente opposto, che sprizza l’entusiasmo di tutti noi quando, almeno una volta, abbiamo aperto la scatola di latta dei biscotti della nonna e ci abbiamo trovato dentro ago e filo, prende il via la 74esima edizione del Festival di Sanremo, il più amato dagli italiani, come fedelmente dimostrano gli ascolti di anno in anno, non prima però di averci ricordato ancora una volta quanto i tiktoker siano fuori luogo nei contesti e nei tempi televisivi, nonostante la bravura indiscussa di Mattia Stanga e Daniele Cabras.

Dopo l’inno della fanfara del IV reggimento dei carabinieri a cavallo, spetta al co-conduttore Marco Mengoni inaugurare la serata iniziale del quinto Festival condotto da Amadeus ed intervallato dal suo fido scudiero Fiorello, l’ultimo, stando alle dichiarazioni dei due, che prevede l’esibizione di tutti e trenta gli artisti nel corso della prima serata.

Checché se ne dica, quella di Sanremo è la settimana più chiacchierata dell’anno, tutti gli anni: che sia per parlarne o, ancor meglio, per sparlarne, Sanremo serve a molte cose. Serve a staccare la mente per qualche ora e per un’intera settimana dalle guerre che ci impediscono di mettere al mondo i figli per paura, serve a non pensare che la benzina aumenterà di nuovo, che l’olio del supermercato, anche il più scadente, è arrivato a costare come uno skipass, che i giorni della merla di gennaio sono diventati i giorni di qualche uccello tropicale, serve a riunire le famiglie e le generazioni, che durante quelle serate siedono incredibilmente allo stesso tavolo e, mentre i figli osannano il tedio di Tedua o gli orripilanti tatuaggi di Lazza, i genitori li guardano attoniti, però, vivaddio, li guardano. Sanremo serve come enorme cassa di risonanza che fa riflettere sull’assurdità di un femminicidio, della morte a vent’anni, delle morti in un mare che invece di cullare, uccide. È solo dopo che Sanremo serve a scrivere una nuova pagina della musica italiana, del modo di condurre meno impostato, a volte sghembo come i mala tempora che currunt, a far conoscere i nuovi fiori all’occhiello dello sport, del cinema e dello spettacolo tutto. Perciò, senza retorica e senza indugio, torniamo alle frivolezze che ci salvano la vita, almeno per un po’. Ecco, quindi, le pagelle nude e crude dei trenta cantanti della 74esima edizione del Festival di Sanremo. Perché Sanremo è, e sarà sempre, Sanremo.

CLARA, “Diamanti grezzi”

Ciò che fino ad un bel po’ di Festival fa era la conditio sine qua non, l’intonazione, in questa graziosa fanciulla diventa l’unico elemento salvabile. Il resto scompare, direbbe la cara Lamborghini.

VOTO: 5

SANGIOVANNI, “Finiscimi”

In un completo incomprensibilmente oversize e l’atteggiamento di chi va controvoglia all’interrogazione alla lavagna, altrettanto malvolentieri “Sangio” ci delizia con una cantilena che ci sfila dalla bocca la battuta facile: finiscimi.

VOTO: 4

FIORELLA MANNOIA, “Mariposa”

Scalza e fasciata da un candido pizzo bianco, Fiorella intona un’ode alle donne che strizza un occhio al ritmo latino e l’altro a qualche neomelodico. Come di consueto per la rossa più amata del panorama musicale femminile, più che il cantato vale l’interpretazione.

VOTO: 6,5

LA SAD, “Autodistruttivo”

Chissà perché, ci siamo meritati il revival dei Finley e dei Dari con il testo, però, un po’ più profondo. Peccato, appunto, per il revival dei Finley e dei Dari.

VOTO: 4,5

IRAMA, “Tu no”

Non si capisce bene perché questo ragazzo con gli occhi di ghiaccio soffra così tanto mentre canta, così come non si capisce la voce perennemente strozzata. Lui soffre, noi pure.

VOTO: 4

GHALI, “Casa mia”

Un po’ sulla falsariga della “Cara Italia” che fu, pare che la questione identitaria attanagli ancora il nostro, che cattura l’attenzione di chi lo ascolta più per le paillettes del suo completo che per il suo canto, il che è tutto dire.

VOTO: 4,5

NEGRAMARO, “Ricominciamo tutto”

Teoricamente sono passati vent’anni. In pratica, invece, no. Sempre uguali a sé stessi, la band pugliese non evolve e non coinvolge.

VOTO: 5

ANNALISA, “Sinceramente”

“Sinceramente”, perché un talento come quello di Annalisa debba andare sprecato, oramai da anni, in canzonette da discoteca senza senso e senza sesso, inteso alla Miranda Priestly, è un mistero della fede.

VOTO: 4,5

MAHMOOD, “Tuta gold”

Conciato come un soldato in addestramento con armi softair, è sempre interessante la sua voce metallica che regge pure un discreto falsetto, ma forse ci piacerebbe sentirlo in un pezzo meno discotecaro e con qualche crisma in più.

VOTO: 5

DIODATO, “Ti muovi”

Diodato conferma il suo talento, scenico e vocale, ma si tratta appunto di una conferma, che non stupisce, né colpisce. La voce e la capacità di scrittura gli consentirebbero di osare much more.

VOTO: 6

LOREDANA BERTÈ, “Pazza”

Con la sua ormai iconica chioma da Fata Turchina e due gambe che fanno invidia a qualsiasi ventenne, Loredana Bertè calca il palco dell’Ariston al top della forma fisica e vocale, con un brano che è un grido di libertà senza retorica.

VOTO: 8

GEOLIER, “I p’ me, tu p’ te”

Orgogliosamente napoletano, Geolier porta l’idioma sul palco più famoso d’Italia, e funziona. Funziona il testo immediato, il ritmo sostenuto e poco pretenzioso e pure l’atteggiamento dimesso del nostro, nonostante pure lui abbondi di lustrini. Apprezziamo la misura del tutto.

VOTO: 7

ALESSANDRA AMOROSO, “Fino a qui”

Non c’è nulla da fare. La combo testo banalissimo + urla sguaiate a caso fa oramai parte delle cellule della cantante salentina, che pure stavolta perde l’occasione di dosare meglio la voce ed arruolare una squadra di autori migliori.

VOTO: 4

THE KOLORS, “Un ragazzo una ragazza”

I cari partenopei ci propinano l’ennesimo tormentone che probabilmente sentiremo dagli altoparlanti di tutti gli stabilimenti balneari dello Stivale. La domanda è: ne avevamo bisogno? La risposta è: no. Decisamente discrepante il tattoo della buonanima di David Bowie sui pettorali di Stash.

VOTO: 3

ANGELINA MANGO, “La noia”

Con un discutibile abito lungo che pare un omaggio all’Hare Krishna, è un vero peccato che un motivetto scialbo e dal ritmo che fa riferimento al titolo non renda giustizia alla bella voce della figlia d’arte. Il pezzo lascia completamente indifferenti.

VOTO: 5

IL VOLO, “Capolavoro”

I tre tenorini più famosi d’Italia si ostinano a proclamare fedeltà all’essere colonna sonora imperitura dei filmini di matrimoni, battesimi, cresime e comunioni. A di più, con un pezzo così, non si può aspirare.

VOTO: 4,5

BIG MAMA, “La rabbia non ti basta”

C’è la voce, la presenza scenica, la simpatia, l’attitude, c’è pure il vestito pazzesco. È proprio il brano a soffrirne e ad eclissarsi un po’.

VOTO: 6,5

RICCHI E POVERI, “Ma non tutta la vita”

Simpatica operazione nostalgia per i superstiti Angelo e Angela, a metà tra un pezzo da sala da ballo e una sigla di un Carosello ammodernato. Non dovevano essere in gara, però.

VOTO: 5

EMMA, “Apnea”

Con la base di un jingle televisivo venuto male e un testo che sembra la risultanza degli scarti delle strofe degli altri, è indubbio che “Apnea” si aggiudichi di diritto il premio “Peggior brano del Festival di Sanremo 2024”, senza se e senza ma.

VOTO: 1

RENGA, NEK, “Pazzo di te”

Un brano perfettamente sanremese cantato da due colonne del nostro pop. Il risultato è un po’ soporifero e troppo spesso monotono, ma c’è di peggio.

VOTO: 6

RAIN, “Due altalene”

Fedele alla chioma ossigenata, è fedele pure alla lagna, alle cantilene da cartone animato e ai luoghi comuni, fastidiosissimi.

VOTO: 4

BNKR44, “Governo Punk”

I BNKR44 ci regalano un salto temporale non indifferente, trasportandoci ai tempi dei concerti nella palestra del liceo il giorno dell’assemblea d’istituto, durante i quali si pogava pure un po’. Tanta nostalgia, poca musica.

VOTO: 4,5

GAZZELLE, “Tutto qui”

Uno dei reucci dell’indie-pop italico tenta di piegare il pezzo alla logica sanremese del refrain struggente, ma i risultati non sono propriamente ottimali.

VOTO: 6-

DARGEN D’AMICO, “Onda alta”

Il pezzo, nonostante il nobile intento, è improponibile quasi quanto l’outfit, tempestato di orrendi orsetti di peluche. Musicalmente, una sigla di una pubblicità andata a male.

VOTO: 4,5

ROSE VILLAIN, “Click boom!”

La virata urban rende il pezzo accattivante e sensuale, quasi quanto lei che, a differenza di moltissimi suoi compagni di palcoscenico, sa cantare.

VOTO: 7

SANTI FRANCESI, “L’amore in bocca”

Notevole presenza scenica, profonda la voce di De Santis, c’è il tentativo di originalità, ma la freccetta si ferma a qualche centimetro dal bersaglio. Serve un po’ più di personalità.

VOTO: 6

FRED DE PALMA, “Il cielo non ci vuole”

De Palma subisce, e molto, la maledizione dei tormentoni estivi, nei quali funziona. Senza la controparte bonazza latina, sembra perdere di credibilità, nonostante la voce ci sia.

VOTO: 5

MANINNI, “Spettacolare”

A tratti ricorda Diodato, ma più banale e infantile. Un po’ di stoffa ci sarebbe pure, manca il carattere.

VOTO: 5

ALFA, “Vai!”

C’è il candore dei vent’anni, la pacatezza, il racconto appassionato della Gen Z. Manca tutto il resto.

VOTO: 4

IL TRE, “Fragili”

Niente di nuovo sotto al cielo dell’Ariston, ma la voce è pulita, il carisma non manca. Ci si può lavorare.

VOTO: 6-

OUTISIDERS:

MARCO MENGONI

Non v’è dubbio che gli riesca meglio cantare che fare il menestrello, però, tra outfit discutibili che vanno dall’omaggio a Sean Connery ne “Il nome della rosa” a Vladimir Luxuria ai tempi del Muccassassina, il nostro ci prova, e a volte ci fa pure tenerezza.

VOTO: 6,5

AMADEUS E FIORELLO

Formano la golden couple dell’odierna televisione, un Don Chisciotte ed un Sancho Panza irresistibili e complementari. Alla pacatezza e alla misura dell’uno si sommano l’adorabile sfrontatezza ed i tempi comici perfetti dell’altro che, ricordiamolo, riesce a mettere in piedi un programma all’alba o a notte fonda spesso con il solo supporto di un quotidiano con le notizie del giorno.

VOTO AD ENTRAMBI: 10

FRANCESCA AMODIO