Fino a qualche tempo fa di Buonforte non avevamo mai sentito parlare: colpa di un mercato spietato nel cercare costantemente nuove voci e parole da consumare, senza porsi il quesito di dove finisca tutto ciò che rimane sotterrato sotto l’odore di plastica del pop contemporaneo (non che sia mai stata prerogativa del mercato porsi domande sulla “qualità”).
In un’era in cui l’industria culturale è diventata il paradigma, l’assioma di riferimento di un’equazione che pone sullo stesso livello talento e mediocrità, levando respiro all’identità e incoraggiando le nuove leve ad un volontario (quanto pericolosamente inconsapevole) auto-sabotaggio delle idee per rifarsi ad un modello che più inconsistente non si può, Buonforte potrebbe essere il giusto modo di “espiare” le colpe che tutti abbiamo, quelle cioè di non batterci mai, in qualità di ascoltatori, per aiutare chi ha voce (per davvero) a farsi sentire, adagiandoci su ciò che il fast food musicale di Spotify e dei distributori digitali ci propina e ci assicura ogni venerdì grazie al monotono menu di playlist insipide, e fuorvianti.
Un circolo vizioso che finisce con lo stringersi al collo di pubblico e artisti, incastrati nella rincorsa di una meta che non è quella di partenza (ovvero, semplicemente, seguire ciò che ci piace e non ciò che deve piacerci) ma finisce piuttosto con lo spostarsi ad ogni uscita discografica un po’ più in là, e non per sublime necessità di ricerca ma per senso di inadeguatezza nei confronti di un mercato mediocre che colma la sua mediocrità trasformando l’oro in polvere e viceversa.
Un turbinio svilente, dal quale si salva solo chi alla comodità del porto preferisce l’imprevedibilità del mare, e che per necessità salvifica decide di prendere il largo con mezzi di fortuna e tanto coraggio; sì, perché i transatlantici e i grandi investimenti sono destinati solo alle tratte in acque protette dall’occhio del mercato, mentre quelle lunghe, sperimentali e innovative diventano appannaggio solo di pirati e corsari che non intendono cedere il passo al galoppo moderato e alienato imposto dalla discografia di oggi: per chi a “Sogni da vendere”, come Buonforte, nessuna corrente diventa troppo forte, e allo smettere di sognare si finisce con il preferire – e a ragion veduta – il naufragio.
Benvenuto su MEI, Gabriele! Hai da poco pubblicato il tuo nuovo singolo “Sogni da vendere”: quali sono questi sogni che hai da vendere, e qual è il sogno più vero di Buonforte?
Ciao! Bellissima domanda! Credo che la risposta più giusta sia quelli dei miei cari. Nella canzone parlo di un rapporto che avevo con una ragazza estremamente riservata, che non condivideva facilmente i suoi sogni. Io, invece, avevo, ed ho tuttora, tra tutti i miei sogni anche i suoi. Voglio davvero un bene viscerale ai miei cari che fa sì che io sogni le migliori cose per loro.
Il mio sogno più vero forse è quello di avere dei figli, avere una famiglia.
Hai pubblicato qualche singolo negli anni, senza mai pubblicare un disco o un EP. Una scelta o una necessità? In molti oggi sembrano evitare la via dell’album, privilegiando la comunicazione breve del singolo…
Sì, ancora non ho pubblicato nessun disco ma diciamo che ci sto lavorando, in autunno uscirà il mio primo album.
La scelta di pubblicare solo singoli è stata quindi presa per necessità ma forse, tornassi indietro, cambierei qualcosa. Nella mia idea di musica, il singolo serve solo ad anticipare l’album poiché l’album fa già intravedere un’idea di spettacolo, di concerto, che è il completamento di ogni mio progetto musicale.
Probabilmente questa tendenza di pubblicare principalmente singoli è sintomo di una musica ascoltata solo alle cuffiette o in radio, senza dare né pretendere troppa attenzione nell’ascolto.
Il tuo è un approccio che sposa insieme diversi modi di intendere la canzone. Tu ti senti cantautore? Che cosa significa, per te, la parola “cantautore”?
Mi sento cantautore ma ammetto che quando la gente mi dice che sono un artista mi fa ancora strano, nonostante io scriva da anni ormai. Forse perché, anche se prendo la musica con serietà, per me scrivere canzoni è una necessità quanto un gioco. Cantautore è colui, o colei, che canta i suoi testi, spesso infatti le canzoni più intime sono quelle dei cantautori.
Parliamo un po’ di “Sogni da vendere”, brano che in effetti racconta una visione profonda del tuo modo di vivere l’esistenza. Ce ne parli un po’?
“Sogni da vendere” parla proprio del mio approccio alla musica e anche alla vita in questi anni. Come quasi tutte le mie canzoni, è stata scritta di notte (“Tutto dorme ed io resto qui”) dopo una giornata piena di impegni e, come per tutte le mie canzoni, non ho scelto il tema, l’argomento del testo. Quando scrivo una musica, al piano o alla chitarra, che mi convince il testo viene da sé. Quella notte non avrei potuto parlare d’altro poiché lei, la ragazza a cui mi riferisco nel testo, totalizzava i miei pensieri.
Con chi hai lavorato alla produzione del brano?
Ho lavorato alla produzione del brano con dei ragazzi fortissimi di Savigliano in Piemonte, Macs e Ale, che hanno da subito compreso la natura acustica e intima della canzone e quindi tutto il suo potenziale. Michele Nicolino, invece, ha messo la ciliegina sulla torta con un mix e master di altissimo livello.
Il brano si appoggia sull’accompagnamento di una chitarra acustica: hai già pensato a registrarne una versione “unplugged”?
Assolutamente sì, non ho un canale YouTube personale e stavo pensando proprio di aprirlo con un video di una versione live del brano!
Ciao Buonforte, grazie di essere stato con noi! Ma adesso, che succede alla tua vita musicale?
Grazie mille a voi! A differenza delle scorse estati, quest’anno non farò troppi concerti ma voglio farne qualcuno molto mirato nel quale porterò anche delle anticipazioni dell’album. Pochi ma buoni. A settembre pubblicherò il secondo singolo presente nell’album e poi, appunto, in autunno pubblicherò finalmente il mio primo disco. Da dicembre proverò a portare il disco, e il concerto, in giro per l’Italia il più possibile. A presto!