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Chiara Effe è una vecchia conoscenza di MEI, una di quelle artiste che abbiamo imparato a conoscere (e a premiare, qualche anno fa, con il Premio Dei Premi). Chiara è sarda, ma la sua musica è un linguaggio universale che finisce con il raccontare le storie di tanti, di tutti, in armonia con una ricerca di vicinanza che rende “Via Giardini” la residenza ideale per i cuori alla deriva di chi si sente ancora in cerca di un posto da chiamare casa. 

Una tracklist densa, efficace nel disegnare la strada verso la liberazione spirituale ed emotiva da un secolo brutale come il nostro, che sembra aver messo al bando la poesia in tutte le sue forme: tra le pieghe del tempo e dello spazio, c’è ancora qualcuno che resiste, nella ricerca disperata di un porto sicuro, di un approdo che non sia “di fortuna”. Ecco, questo è il disco di Chiara Effe: una nave pirata lanciata a bomba contro l’ingiustizia della mediocrità, della semplificazione che non è semplicità, della superficialità che non è leggerezza. 

Chiara Effe, cantautrice che qui al MEI conosciamo bene, è finalmente tornata a nove anni di distanza dal suo primo disco “Via Aquilone” con un lavoro che ne conferma delicatezza di scrittura e ispirazione poetica. Ma da dove possiamo partire, per raccontare la genesi e la maturazione di “Via Giardini”?

C’è stato un periodo in cui partecipavo a diversi concorsi che vincevo. 

Ecco, non ho mai partecipato o vinto con la stessa canzone, quindi a un certo punto ho sentito l’esigenza di dare uno spazio a tutti questi brani.

Da qui l’idea di fare un disco, anni fa, passando attraverso peripezie e difficoltà e incontri sbagliati, fino ad arrivare finalmente al 21 settembre, giorno di nascita o rinascita.

Le canzoni del disco sembrano rincorrersi l’un l’altra, regalando sin da primo ascolto la sensazione di trovarci di fronte ad un concept, ad una mappatura umana di una sensibilità unica ma capace di frammentarsi (anche se solo apparentemente) in dodici brani collegati da un filo rosso che si intuisce, anche se non si vede. Qual’è il legame che fa da “trade union” tra le tue canzoni, il significato che si nasconde fra le perle di “Via Giardini”? Quello che, insomma, c’è ma non si vede…

Penso sia la consapevolezza di sapere da dove vengo, che è lo stesso luogo in cui torno sempre, anche se viaggio tanto e anche se vivo a Torino.

E’ il titolo il collante tra tutte le canzoni, Via Giardini, via di casa ora e sempre e ovunque vada.

Il mare, la poesia, le parole, la casa, il calcio come rito collettivo a la Pasolini, l’amore, la poesia come esigenza vitale, la sconfitta e la ricerca di un posto che ci faccia sentire bene, e che alla fine forse siamo davvero noi stessi: parole che raccontano “Via Giardini” secondo noi. Ce ne sarebbero ovviamente molte altre: che ne pensi di quelle che abbiamo scelto, e quali sono quelle che aggiungeresti? 

Aggiungerei la malinconia come momento di crescita insieme alla solitudine, il lutto e il distacco dal passato per cause e ragioni che non si possono controllare, il cielo dalle mille sfumature che mi porto nel cuore quando non c’è, la voce della mia famiglia che sento sempre dentro la mia e il mare con cui sono cresciuta, che mi parla e a cui parlo.

Nel tuo nuovo disco, le sonorità si alternano con un certo dinamismo: c’è di sicuro una linea “jazz” che collega tutti le canzoni per guasto d’arrangiamento. Ci racconti con chi hai lavorato alla produzione del disco?

Prevalentemente da sola. Per la prima volta. Compresi gli arrangiamenti scritti per gli archi. Ma con la super super supervisione di Alberto Soraci, una delle mie fortune in questi anni. Alberto è un abruzzese poco più piccolo di me, trasferito a Torino come me, che suona diversi strumenti, ascolta una infinità di musica e ha le orecchie più fini che io abbia mai conosciuto.

Abbiamo trascorso giornate intere e anche nottate dentro la sua sala di registrazione a creare, disfare e inventare soluzioni armoniche e dettagli che potessero valorizzare ogni canzone. Dovrebbero tutti avere un Alberto accanto durante l’elaborazione di un disco.

Tra le canzoni, ce ne sono alcune che ci hanno colpito in modo quasi frontale, decisivo. Fra queste, di certo “La Danza delle parole”, cantata con Sirianni: qui racconti la tua idea di poesia, di scrittura come necessità d’incontro. Possiamo definirlo un “manifesto poetico” della tua idea di canzone? Che cos’è, per te, la “canzone”?

Questa è una canzone complessa, che passa anche attraverso quella sensazione di sofferenza perché non ci si sente capiti o ascoltati nonostante cerchiamo di essere meticolosi nell’utilizzo delle parole, essendo esse la nostra vita.

Da adolescente sentii una canzone di Daniele Pacifico cantata da Samuele Bersani che si chiama Le mie Parole. Io non ho mai smesso di sentirmi dentro quella canzone, tanto che a un certo punto le ho quasi risposto, con La Danza delle Parole appunto, per necessità.

E’ difficile lasciarsi avvolgere da esse, ma è indispensabile.

E’ complicato sceglierle, è commovente ciò a cui ti fanno arrivare.

Sono la mia vita e io sono una dei loro strumenti.

Negli anni, hai girato l’Italia in lungo e in largo, senza mai concederti respiro. Cosa cerchi, quali sono le motivazioni che spingono il tuo costante peregrinare?

Non lo so ancora.

Ma appena lo scoprirò ci scriverò una canzone.

Chiara, grazie per il tempo che ci hai dedicato. A noi non resta che consigliare ai nostri lettori di ascoltare “Via Giardini”, e chiederti quando potremo ascoltarlo finalmente dal vivo. 

Grazie mille a voi, spero di vedervi presto.

Per le date vediamo con Roy, ma non credo manchi troppo tempo.