Eurodeputato ma anche laureato in Fisica… Piernicola Pedicini poi è anche (e soprattutto) cantautore che approda a questo nuovo disco dal titolo manifesto: “Radio Sud Globale”. La lingua che raccoglie le radici della sua terra campana… e non solo… i suoni che vagano dentro i percorsi dell’uomo e delle tradizioni e dei luoghi del mediterraneo… e non solo… un disco che fa della pace una necessità, l’urgenza, non solo un manifesto. Una bella chiacchierata… l’invito ovviamente è non solo di ascoltare, non solo di leggere quanto segue… ma anche e soprattutto di rifletterci su. Siamo dentro una deriva a cui dovremmo dedicare del tempo. Come portare un messaggio ormai centrale dentro allegorie e maschere di una canzone leggera, latina, cubana, mediterranea… come nel video di “Famme restà” realizzato da Vincenzo Greco (Wokilab).
Da Eurodeputato a cantautore. In qualche modo esiste un filo che unisce due mondi così apparentemente distanti. In fondo nei tuoi lavori esiste comunque una cronaca, una denuncia, un messaggio di allerta. Non è così?
Sì, è così, i due mondi sono neanche apparentemente così distanti, sono volutamente così distanti. La realtà è che si è sottratto alla musica, alla canzone, all’arte in generale, il prezioso ruolo di propulsore politico, la capacità e il potere di entusiasmare la gente nei confronti di importantissimi temi di spessore politico.
Esiste una cronaca, una denuncia, nei miei pezzi, e un messaggio di allerta: sono tutti finalizzati ad affrontare, o quanto meno a dichiarare una propria posizione su alcuni argomenti che sono di strettissima attualità e che sono ciclici, ritornano sempre di più nel tempo e sempre più spesso come stringente attualità.
Sono gli stessi temi che affronto anche politicamente da eurodeputato, quelli che in qualche modo mi impegnano direttamente nell’azione politica e io ho ri-trovato nell’utilizzo della musica, come è sempre stato fatto: la musica è un sistema per parlare alle persone. Oggi ha perso questa funzione e sono soltanto pochissimi quelli che utilizzano lo strumento della musica e della canzone, dello spettacolo in piazza per parlare, per portare informazioni, per convincere le persone, per restare impressi nella memoria della gente con un messaggio che trova nella musica il suo megafono. Credo semplicemente che questo sia un modo per comunicare meglio e per comunicare anche ad un target di persone che altrimenti non sarebbero raggiungibili. Dal mio punto di vista gli argomenti sono molto attuali, come dicevo, e si rivolgono per esempio ai giovani se si parla di ambiente, se si parla di migrazione giovanile, se si parla di immigrazione, se si parla di diritto di parola, se si parla di diritto di pensiero. Questo riguarda certamente i giovani, ma queste stesse parole nella bocca di una persona di più di cinquant’anni come me non sono interessanti per quel pubblico. In forma musicale invece lo può diventare. La realtà è che abbiamo la prova di quanto dico: con i miei musicisti abbiamo già provato sui palchi del Mezzogiorno d’Italia alcune delle nostre canzoni con un grande riscontro, un’emozione ed un’empatia palpabili. Quindi la connessione forte fra messaggio politico e canzone non soltanto è confermata ancora oggi, ma rende ancora più importante questo obiettivo.
Inevitabile chiedertelo: quanto questi due mondi si parlano, si contaminano? Quanto della politica entra nelle tue canzoni e viceversa (se può avere un senso il viceversa)?
Moltissimo, cioè tutto. I due mondi si parlano e si contaminano sempre, dal mio punto di vista. La politica entra in tutte le mie canzoni, ognuna delle canzoni che sono in questo album, ma anche negli altri. Spesso si tratta di temi antichi, purtroppo ancora attuali perché mai risolti: parlo per esempio della diseguaglianza di genere, ma anche della violenza sulle donne, della libertà di pensiero, affronto il tema della guerra, il tema della questione meridionale.
Tutti questi temi costituiscono una per una le canzoni di questo album e devo dire che l’influenza e la contaminazione è anche nel verso opposto. Ogni azione politica che conduco, ogni battaglia che sostengo o che mi vede impegnato è sempre aiutata e incoraggiata da un contesto di ispirazione che che mi viene dalla musica. La musica mi ispira, la musica di altri mi ispira, mi ispira anche il dover fare musica, il fare musica. Il fatto stesso di farla mi ispira e mi dà più forza nel condurre le battaglie politiche che poi vado anche a musicare. Pertanto, la reazione tra le due componenti è biunivoca e una rafforza l’altra.
“Vento”: non solo il titolo di una canzone ma anche un elemento portante del disco, che torna… il vento lo troviamo anche come chiusa di tutto l’ascolto. È un caso oppure ha senso sottolinearlo?
Certo che ha senso sottolinearlo e mi fa piacere che sia stato notato questo riferimento che è presente più volte nell’album. Il vento è utilizzato come mezzo esterno, perchè se le argomentazioni sono politiche, si ha la sensazione di perdersi in qualcosa di più grande, in qualcosa che ti trasporta e che non dipende più dalle tue decisioni. Le tue decisioni non hanno più influenza su qualcosa di così grande che può trasportare te, può trasportare anche tutto ciò che è intorno a te, è una sensazione che si prova fortemente anche in politica, soprattutto nell’azione politica di chi è in strettissima minoranza. Quel vento è la stessa sensazione che credo che si trovi a provare una donna che magari in solitudine vive una violenza, così come quel vento è la stessa sensazione che può provare una persona che fa una battaglia per essere ascoltata ma non trova riscontro. La percezione che rimane è quella di essere trasportati da qualcosa di più grande e questo continuo riferimento non è per niente casuale e quindi sì, è il caso di sottolinearlo.
E restando tra le righe di questo brano, altro ingrediente che torna è la condizione femminile. Oggi più che mai un tassello crudo. E qui mi riferisco più al politico che all’artista: la società italiana come si pone rispetto al resto del mondo sul tema? Se dovessimo pensare ad una classifica?
Sì, tornando sulla condizione femminile è davvero un tassello oggi più che mai crudo, è vero. Ho voluto affrontare questo tema non soltanto dal punto di vista della disuguaglianza sull’ambiente di lavoro, ma anche dal punto di vista della violenza sulle donne. Se dovessimo pensare ad una classifica noi ci troveremmo certamente agli ultimi posti e devo dire che purtroppo la questione femminile è anche una questione strettamente territoriale così come quella giovanile: oggi se sei una una ragazza di 18 anni del Sud Italia, magari delle aree interne, sei la persona più sfortunata in termini di occasioni, di inserimento nel mondo del lavoro rispetto a tutti gli altri paesi dell’Unione Europea. Quindi nella classifica l’Italia, e ancor più il Sud Italia, si colloca purtroppo agli ultimi posti. L’Unione Europea ha avuto l’obiettivo di affrontare proprio questo argomento e per questo sono stati stanziati importanti fondi: la cifra più importante, a seguito della crisi economica da Covid, è stata concentrata proprio in Italia con l’obiettivo di affrontare la disuguaglianza territoriale, la diseguaglianza giovanile e anche la diseguaglianza femminile. E questo proprio perché quest’ultima si concentra particolarmente nel nostro territorio. Eppure molte di quelle risorse sono state destinate ad altro e non avranno un effetto di miglioramento dei parametri degli indicatori rispetto alla condizione femminile in Italia e specialmente nel sud Italia. Questa classifica è davvero molto buia se vista dal nostro Paese.
Stilisticamente un disco che sa tanto di Cuba. Tornano spesso alla mente le arie dei Buena Vista Social Club come anche di Manu Chao e simili. Questo trovo che sia un punto fermo o sbaglio? Posso chiederti perché?
Sì, è certo che è un punto fermo. Sono i miei riferimenti musicali. Buena Vista Social Club, come Manu Chao, sono i gruppi che da ragazzo ho suonato come cover band: avevamo un gruppo musicale e la maggior parte dei pezzi che suonavamo erano proprio i loro. Sono stati sempre un mio riferimento musicale, ma aggiungo che c’è una radice più forte della sola radice musicale: una radice politica.
Entrambi hanno cantato e hanno suonato con metodologie e prendendo riferimenti musicali dei territori più poveri: così anche il loro stile musicale e la scelta della strumentazione. Manu Chao ha pochissima batteria, pochissime percussioni, pezzi molto semplici, e lo stesso vale per Buena Vista Social Club. Sono tutti elementi che rappresentano una parte del mondo che in qualche modo è ultima: lo è l’Argentina, lo è il Brasile delle Favelas, lo è Cuba, lo è il Sud Italia. Quindi c’è una sorta di armonia territoriale che si ripresenta anche nelle scelte musicali che non sono soltanto quelle metriche oppure quelle strettamente musicali, ma anche quelle strumentali. Per quanto mi riguarda quelle sonorità sono volutamente scelte in quel modo. Credo che con quello stile musicale ci sia ancora moltissimo da dire e che esista uno spazio ancora enorme da occupare e che ci sia grande interesse verso quel tipo di sonorità che hanno un forte valore comunicativo.
E poi il video… lo immaginavo ricco di aria e di orizzonte come l’immagine di copertina. Ci hai pensato? Un video che traduce l’atroce in disegno e allegoria…
Sì, la copertina riprende il video di “Famme restà”, che a me piace molto. A breve uscirà anche il video di “Andai a lu mari” che parla di spopolamento dei territori che già sono ultimi. Però ecco, Famme restà è un po’ la canzone di lancio, il singolo più importante che rappresenta un po’ tutto lo stile musicale dell’intero album e ha questo video che è stato concepito e immaginato per avere un contrasto forte, per dare spazio, per appunto fare riferimento all’aria, all’orizzonte, al guardare lontano, al guardare oltre, ma soprattutto mette in competizione l’amore tra due persone, tra due ragazzi. Con quel cantato in napoletano che è come dire un addio di un amore non ancora sviluppato, però voluto, tanto voluto, ma che si frantuma con la chiamata verso la guerra e quindi con il forte contrasto delle immagini che fanno riferimento a bombandamenti e alla dissoluzione che segue la guerra. È una cosa talmente attuale da farmi pensare molto, solo il fatto di immaginarlo mi mette angoscia: la paura, la possibilità di essere chiamati da giovani ed essere arruolati per andare a fare la guerra e per lasciare una vita che è fatta di normalità, che è fatta di amore, che è fatta di amore per le cose, per l’amore per la propria terra, per le proprie tradizioni, per la propria famiglia, lasciare tutto per andare ad ammazzare altri ragazzi che hanno dovuto affrontare lo stesso trauma. È qualcosa di inimmaginabile e devo dire che ho cercato in tutti i modi di rappresentare questa grande discrasia fra le due cose, fra amore e guerra. Credo che la realizzazione del video di Vincenzo Greco abbia corrisposto benissimo questi intendimenti: è stato davvero molto bravo e mi fa piacere che vi sia piaciuto.
https://open.spotify.com/intl-it/album/57OwEM4yvmgh8Gdr183GAf?si=GFS2jDaCTZqZ3mSu3mQYTg