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“Rotta del diavolo” è il nuovo ep firmato dai giovanissimi Kensho, una band che prende il nome da due termini giapponesi: “vedere” (ken) ed “essenza” (shō), e significa “momento fugace di illuminazione improvvisa”. Abbiamo rivolto loro qualche domanda.

Ciao ragazzi. Come descrivereste il vostro percorso musicale fino a oggi?

 

Il nostro percorso musicale è stato un susseguirsi di salite e discese, con tanti momenti fortunati, casuali e non, che ci hanno permesso di sviluppare in poco tempo un’idea di progetto in continua evoluzione. Siamo molto contenti delle esperienze avute finora perché anche quelle negative ci hanno lasciato tanto, sia per le lezioni che ci hanno lasciato, che per essere state opportunità di tirare fuori la forza del gruppo e renderci ancora più uniti. Abbiamo anche avuto tantissima fortuna ad incontrare alcune persone d’oro che credono in noi e ci aiutano, soprattutto concretamente, nel tentativo di realizzare il nostro sogno.

 

Come avete affrontato la creazione delle quattro canzoni dell’EP?

 

Questi 4 brani sono nati in parte in modo totalmente casuale e improvviso, come Tic Toc e Rotta del Diavolo, in parte come fase finale di un percorso molto lungo e sudato di cresciuta stilistica, come Shame e Zarathustra. Tic tic è nata letteralmente in 10 minuti, e anche la fase dell’arrangiamento è stata altrettanto rapida; l’unica cosa che ci ha portato via più tempo è stata la ricerca del suono adatto per rimandare al ticchettio di un pendolo, per ricreare l’idea del testo. Zarathustra è stato un percorso più lungo in quanto ci sono state diverse stesure del testo, e anche quando abbiamo iniziato ad arrangiarla è continuato a cambiare. Rotta del diavolo deve le sue origini all’ultima strofa, e successivamente il resto. Shame invece è una delle poche canzoni nate dal giro di accordi, piuttosto che da un testo o da una melodia: infatti le parole sono l’ultima cosa ad aver preso forma, all’inizio era solo batteria, accompagnamento e vocalizzi spontanei.

 

In che modo la vostra giovane età influisce sulla vostra visione della musica e sulla vostra creatività?

 

Il fatto di essere giovani, ma non troppo per il mondo della musica, ci permette di avere sia la curiosità e la spontaneità che caratterizza un po’ la nostra parte bambina, sia la maturità di fare scelte sulle priorità del nostro progetto.

 

Come descrivereste la vostra crescita e maturità come band da quando avete iniziato?

È partito tutto come un gioco: scrivere e suonare ci diverte ed è un modo per sfogarci, ma allo stesso tempo è diventato importantissimo dopo il riscontro da parte del pubblico, da subito positivo. Il progetto che all’inizio era soltanto una bozza, ha iniziato mano a mano a

prendere forma, fino a diventare il nostro piano A, B, e C, di vita.

 

 

C’è un brano che avete scritto che è particolarmente significativo per voi personalmente?

Sì, si chiama Pagine Bianche ed è stato un brano importantissimo per noi sia a livello personale, che per il gruppo. Nonostante sia uno dei primi brani che abbiamo scritto quando abbiamo riiniziato a suonare insieme, è uno di quelli su cui stiamo lavorando tutt’ora perché il peso che ha per noi sta richiedendo tanta cura.

 

Cosa sperate che i vostri fan apprezzino di più in “Rotta del Diavolo”?

L’originalità della musica proposta, in quanto il nostro genere ne racchiude tanti, in parte; i testi, perché vengono direttamente dalla parte più profonda di noi, ed è un modo di esporci al mondo avendo come scudo soltanto i nostri strumenti; la cura ai dettagli, negli arrangiamenti, e la ricerca dei suoni adatti a suscitare sensazioni e ricordi, in base al punto del brano e al significato.