“Emilia Cowboy” non è semplicemente un titolo, ma la chiave di volta di un manifesto sonoro che i Fattore Rurale inscrivono con la forza viscerale della terra piacentina e l’iconografia spietata del mito americano. L’album è un’opera che trascende la semplice raccolta di brani per elevarsi a trattato filosofico sulla condizione umana. Fin dalle prime note si percepisce il peso del concetto di “eterno ritorno” la ciclicità dolorosa e necessaria dell’esistenza, un’idea che la band lega indissolubilmente al suo motto: “Morte Amore Desolazione”. Questo trittico tematico non è una chiusura nichilista, ma l’accettazione della complessità totale dell’essere.
Marco Costa, autore e compositore, insieme alla band, non cerca facili consolazioni; al contrario, “Emilia Cowboy” è un invito ad “entrare dentro le persone, senza lasciare spazio alle menzogne”. Il cowboy qui non è l’eroe infallibile del western hollywoodiano, ma una figura intrisa del fango e della verità distorta delle campagne emiliane. È l’uomo che accetta di “vivere di merda” se insegue l’idea di piacere a tutti, ma trova libertà solo nell’accettazione dei propri peccati. La traccia eponima, con il suo “BENVENUTI ALL’INFERNO inciso in alto su tavole di legno”, non lascia scampo, stabilendo il tono di una discesa onesta e necessaria. La libertà, cantata come quella di “Mustang senza catene”, è raggiungibile solo dopo aver superato l’educazione alla sconfitta.
Il dualismo è il cuore pulsante del disco: bene e male, luce e tenebre, non sono entità separate, ma fili che si fondono, permettendo all’essere umano di essere “completamente vivo” in entrambi. Brani come “Rispetta il dolore” che spingono ad affrontare le sofferenze senza fuggire, e “Revolver” riflessione sulla “scelta del suicidio come una via di fuga dalla verità”, sono tappe di questo viaggio interiore. La band non teme di maneggiare l’oscurità, ma lo fa con l’intento di disseppellire la verità e rendere liberi.
La forza dei Fattore Rurale risiede nell’aver saputo calare il blues e il country americano, con le sue radici di sofferenza e redenzione (Cash, Springsteen), nella realtà del cantautorato italiano (Guccini, Vasco Rossi). Il risultato è un sound viscerale che si ferma nel tempo, autentico e profondamente umano. “Emilia Cowboy” è un album che non si ascolta, si vive, costringendo l’ascoltatore a custodire le proprie urla.


