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Un dialogo tra lentezza e velocità, tra Oriente e Occidente, tra corpo e immaginazione.
Abbiamo incontrato Simone per parlare del suo nuovo brano Grey Horse’s Standpoint — una traccia sospesa tra cinema, introspezione e libertà creativa.


1. Simone, cosa rappresenta per te il “punto di vista del cavallo grigio”? È una metafora, un simbolo, o entrambe le cose?

È entrambe le cose. Il “punto di vista del cavallo grigio” rappresenta per me una prospettiva diversa sul mondo, quella di chi osserva prima di muoversi.
È la metafora della consapevolezza: la capacità di fermarsi, di non reagire d’impulso, ma di comprendere prima di agire.
Il cavallo è un essere forte ma sensibile, e il grigio è il colore dell’equilibrio, dove nulla è assoluto ma tutto convive. In fondo è una riflessione sul modo in cui guardiamo la realtà — tra istinto e lucidità.


2. Nel brano si avverte una dimensione quasi cinematografica, sospesa tra il Western e la fantascienza. Quanto contano le immagini nella tua scrittura musicale? Parti più spesso da un suono o da una visione?

Quasi sempre da una visione. La mia musica nasce spesso da immagini, mentali o oniriche. Poi cerco di tradurle in suono.
In Grey Horse’s Standpoint c’è proprio questa fusione: un deserto reale e immaginario al tempo stesso, dove l’eco del West incontra l’energia del futuro.
Le immagini mi aiutano a costruire l’architettura del brano — la musica arriva come conseguenza, come se fosse la colonna sonora di un film che non esiste ancora.


3. Il tuo percorso artistico è fortemente internazionale: Italia, Stati Uniti, collaborazioni con nomi iconici. Cosa hai portato con te della sensibilità italiana nella tua musica “americana”?

Di sicuro ho portato la melodia, una certa attenzione al dettaglio derivata dalla cultura classica e talvolta un senso di drammaturgia emotiva.
La tradizione italiana ha una grande capacità di unire eleganza e passione, istinto e forma.
Negli Stati Uniti ho imparato invece la libertà produttiva, la contaminazione e la concretezza.
Il mio linguaggio è la sintesi di questi due mondi: l’intensità europea e l’apertura americana.


4. Molti ascoltatori descrivono le tue composizioni come viaggi sonori. Qual è l’emozione che speri arrivi per prima a chi ascolta Grey Horse’s Standpoint?

Spero arrivi un senso di sospensione, quella sensazione in cui il tempo sembra fermarsi per un momento.
È un brano che invita all’ascolto interiore: non racconta una storia lineare, ma crea uno spazio in cui ciascuno può proiettare la propria.
Mi piacerebbe che chi ascolta si sentisse parte di un paesaggio emotivo — non spettatore, ma viaggiatore, vorrei che si identificasse nel cavallo grigio!


5. Nel tuo stile convivono chitarre, elettronica retrò, slide, armoniche e persino canto lirico. Quanto spazio lasci all’improvvisazione e quanto alla costruzione meticolosa del suono?

Cerco di bilanciare entrambe le dimensioni.
C’è inizialmente una parte del lavoro molto istintiva, dove lascio che il suono mi guidi, ma poi interviene la fase più razionale da produttore, in cui cesello, sposto, ripenso.
L’improvvisazione è il motore dell’emozione, la costruzione è la forma che la rende comprensibile.
Il mio obiettivo è mantenere sempre una tensione tra libertà e controllo, come in un dialogo continuo tra l’istinto e la mente.


6. Oggi la musica strumentale vive una nuova stagione grazie alle colonne sonore, ai videogiochi e alle serie TV. Ti piacerebbe esplorare questi ambiti in modo più diretto?

Sì, moltissimo. È un territorio che mi appartiene da sempre, anche se indirettamente. A Los Angeles, dove abito da molti anni, lavoro molto con produzioni televisive, e talvolta cinematografiche.
E poi i miei brani possono essere concepiti come piccole colonne sonore, quindi l’idea di poterle inserire in un contesto visivo reale mi affascina molto.
Mi piacerebbe lavorare con registi o studi che condividano questa sensibilità ibrida tra cinema e musica, tra estetica e emozione. Credo che la musica strumentale abbia oggi un potenziale narrativo enorme.


7. Hai parlato spesso di “contrasti culturali” come motore della tua creatività. Ce n’è uno — tra Oriente e Occidente, tra passato e futuro — che ti affascina più di altri in questo momento?

Mi affascina molto il contrasto tra lentezza e velocità, che trovo speculare a quello tra Oriente e Occidente.
Viviamo in un’epoca frenetica, e per me creare musica è un atto di resistenza contro il tempo accelerato.
L’Oriente mi ha insegnato l’arte del silenzio e della contemplazione; l’Occidente quella dell’azione e del movimento.
Il mio lavoro cerca di tenerle insieme — come il cavallo grigio che osserva e poi parte.


8. Il tuo nuovo album promette un ulteriore passo nella tua ricerca sonora. Se dovessi descriverlo con tre parole chiave — non musicali, ma emotive — quali sceglieresti?

Direi: visione, coraggio, mistero.
Visione, perché ogni brano nasce da un’immagine o da un sogno.
Coraggio, perché il progetto abbraccia il rischio e la sperimentazione senza paura di essere “fuori formato”.
Mistero, perché anche per me, ogni volta, la musica resta qualcosa di inspiegabile — un linguaggio che non si spiega, ma si sente.


“Il cavallo grigio osserva, poi parte.”
Forse tutta la musica di Simone nasce da qui: da una calma che precede il movimento, da un suono che non urla, ma resta.

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