Skip to main content

A soli 19 anni, Ricky Martinelli debutta con l’EP “AILY Really”, uscito lo scorso 9 maggio 2025. Il progetto raccoglie cinque brani che oscillano tra ballad pop-rock, introspezione e malinconia. Il tutto con uno sfacciato stampo internazionale, dal gusto retrò e senza piegarsi troppo alle dinamiche estetiche della discografia indipendente di oggi. Una lunga chiacchierata a seguire che dimostra carattere, urgenza e idee chiare di una ricerca nata da poco…

 

Nel lavoro emerge una forte componente introspettiva, a tratti anche dolorosa. Un disco per esorcizzare o per prendere consapevolezza?

Ad eccezione per “My Heart Is Filled With Jealousy” non ho utilizzato nessuno dei brani per smaltire del dolore o esorcizzare un demone che mi tenevo dentro, li ho scritti tutti partendo da un’immagine o un pensiero che mi ha colpito come può essere il vedere una coppia felice sul treno (Picture Of Two) oppure dire un qualcosa che non riuscirei a dire come il fatto che mi piace farmi fotografare (You May Take A Photograph). Ho cercato, in generale, di parlare attraverso storie, dolorose e felici che siano, usando l’amore come fulcro per ogni brano; è una costante e continua presa di consapevolezza che si diffonde per tutto il disco. Per “My Heart Is Filled With Jealousy” ho voluto invece sfogarmi, parlare di un argomento che mi tormenta costantemente: il brano racconta una storia profondamente personale, nata da un momento di fragilità e smarrimento emotivo. È una confessione nuda e senza filtri, un urlo che nasce dalla gelosia, non quella banale, ma quella che ti mangia dentro, che ti fa dubitare di te stesso, dell’altro, e della realtà stessa.

 

La tua voce attraversa sfumature molto diverse nei brani: quanto conta per te la voce come strumento narrativo, non solo melodico?

L’interpretazione vocale è molto importante, da cantautore quale sono cerco sempre di concentrarmi non solo a quale nota devo cantare ma soprattutto a come cantarla. Cantare i miei brani mi permette di esprimere quello che voglio senza filtri, non devo pensare a cosa volesse dire l’autore perché lo so per certo e questo mi aiuta molto. Interpretare vocalmente un brano scritto da te significa fare un’introspezione, scavare nel tuo io e urlare o sussurrare a seconda della canzone. Ho notato che in Italiano trovo meno difficoltà ad interpretare i brani e non cerco “scappatoie melodiche” ma cerco semplicemente di dire quello che voglio dire. La voce può guidare più di ogni altro strumento e sono proprio quei difetti vocali che rendono la narrazione… umana. Solo i coristi o i cantanti lirici cercano l’assoluta precisione melodica, prima di essere un cantante io sono un cantautore, quello che conta per me non è la perfezione ma la comunicazione. Tutto quello che voglio è trasmettere delle emozioni.

 

“The boat that I built for you” – Official Video

https://www.youtube.com/watch?v=55HKZY0L0Oc

 

Il suono dell’EP ha un respiro internazionale, ma conserva un’intimità molto italiana. In che modo senti di appartenere – o meno – alla scena indipendente italiana contemporanea?

Mi sento pienamente appartenente alla scena indipendente italiana contemporanea, soprattutto perché ho potuto notare, ascoltando diversi gruppi attuali di Brescia, che scrivere canzoni in inglese è diventato quasi uno standard. Personalmente sto cercando di staccarmi da questo filone, in questo periodo ho scritto tanto in Italiano e ho fatto diversi esperimenti facendo un mix di sonorità. Cerco di mantenere la mia identità rock ‘n’ roll parlando di quello che penso della mia generazione. Non vedo l’ora di registrare un po’ di brani e farli uscire, fino ad allora vi invito a sentirmi sul palco dove suono molti pezzi nuovi!

 

Questo è il tuo esordio discografico. Come vivi il concetto di “esordio” oggi, nell’Italia della musica indipendente, tra social, algoritmi e povertà (spesso) di autenticità?

Sinceramente non mi interessa cosa c’è sul mercato, fare una canzone in un certo modo solo perché gli altri la fanno così non è giusto e soprattutto uccide la creatività. Oggi addirittura c’è chi crea canzoni con l’intelligenza artificiale, ho potuto per esempio ascoltare una versione di Rubber Soul dei Beatles con sonorità gospel anni ’80, e le voci erano generate dall’IA! È bellissimo, ma… dove arriveremo? Quando puoi scrivere canzoni senza dover pensare a nulla, solo perché un computer ha imparato a farlo, i limiti non esistono davvero più, in generale io sono contro questo, non ripudio l’IA ma ripudio l’utilizzo della tecnologia (per esempio l’autotune) come strumento sostitutivo ad un qualcosa che l’artista non sa fare. È giusto cercare degli effetti per avere un sound proprio ma non ha senso correggere delle note al computer solo perché si è troppo pigri o incapaci di fare la parte cantata. In ogni caso oggi è dura, chi vuole uscire dall’ordinario viene sotterrato da tutti gli algoritmi che abbassano l’attenzione degli ascoltatori, oramai i brani sono tornati a durare 2 minuti e mezzo e le persone non sono più disposte ad ascoltarli nemmeno tutti; solo i concerti ed in generale gli eventi live si distaccano dall’algoritmo, forse perché mostrano la parte parte umana del tutto e fanno provare emozioni, cosa purtroppo rara di questi

tempi.

 

Ascolta “AILY Really” on Spotify

https://open.spotify.com/intl-it/album/6Ms4YUuuWXEcyDNGGsy4TX?si=i91wxxxhRZu1-kLzjkuwwA

Lascia un commento