Con “Chiuse le mani” i Raiva firmano un debutto cupo e viscerale, unendo alternative rap, nu metal e orchestrazioni dal sapore cinematografico. Il brano nasce come un viaggio nella psiche dell’autore, tra sopraffazione, identità frammentata e tensione emotiva, restituendo un sound claustrofobico e potente, sorretto dalla voce graffiante di Alessandro e da un immaginario inquieto e solenne.
Un vero atto di ribellione contro un mainstream percepito come stagnante e artificiale, e il primo passo di NAUSEA, progetto nato da un periodo segnato da disillusione, precarietà e ricerca di senso.
“Chiuse le mani” è un brano che sfida le regole del singolo tradizionale. Secondo voi, quanto è importante oggi proporre musica “scomoda” anche a costo di risultare meno accessibili?
Non è neanche più questione di importanza, quanto di necessità. Ed è tanto, troppo necessario rompere con il mainstream e le vie che offre ad artisti e ascoltatori. La musica mainstream asso-miglia sempre di più alla politica: come quest’ultima è comandata dal guadagno personale e fa sempre meno da specchio agli umori della popolazione. A noi dell’accessibilità non importa niente: l’attenzione ci mette a disagio e le tecniche di promozione social odierne ci disgustano, non ne siamo capaci. A dirla tutta, non riteniamo che la nostra musica sia scomoda abbastanza: vorremmo in futuro renderla più difficile, più distorta e con testi più espliciti e controcorrente.
A prescindere da questo, storicamente parlando, la musica controcorrente ha quasi sempre avuto una funzione avanguardista e innovatrice: al di là del periodo storico, è sempre necessaria. Ciò che in ogni caso notiamo noi oggi è che in questa epoca, che è quella della confusione, del para-dosso, della violenza direzionata e manipolata, non c’è nessun accenno del mainstream a volersi fare interprete di queste esatte caratteristiche. Tra l’altro, tutto questo poi culmina nella mancanza di presa di posizione sulle questioni che contano: basta pensare al silenzio dei più noti artisti italiani difronte al genocidio a Gaza. Uno schifo.
Nel pezzo emergono atmosfere che uniscono alternative rap, nu metal e orchestrazioni quasi cinematografiche. Come avete trovato questo equilibrio sonoro così particolare?
Il sound di CHIUSE LE MANI, e più in generale di NAUSEA, è il risultato di anni ed anni di connessione artistica costruita con fatica tra di noi. Siamo partiti dal rap classico su input di Alessandro ma abbiamo sempre ascoltato musica più aggressiva, in particolare Giorgio (che tra l’altro si è formato con la musica classica). Dopo anni di tentativi abbandonati e ripensamenti, quando si è trattato del momento giusto siamo stati in grado di scrivere i brani con molta rapidità. In fin dei conti, ci siamo lasciati guidare dal peso delle nostre emozioni e non è stato difficile trovare un nesso tra la rabbia del rap aggressivo e quella espressa dalle chitarre distorte, e poi tra il muro sonoro del metal e la grandezza della musica classica. D’altronde, il Dies Irae di Verdi e la Danza dei Cavalieri di Prokofiev sono tra le cose più metal che siano mai state create.
Avete raccontato che la scelta del singolo è stata un “atto di ribellione”. Cosa vi ribella maggior-mente della scena musicale attuale?
Il contesto in cui è inserita, in tutta la sua apparenza e superficialità: compresa la musica, in questa generazione del mainstream tutto è fatto per essere apprezzato da un target, per aderire ad una estetica già socialmente accettata, per stare sulla cresta dell’onda di un algoritmo già sperimentato e funzionante: è tutto mirato, è tutto pianificato ed è tutto così incredibilmente noioso e ripetitivo. Ci siamo cascati anche noi, a modo nostro, perché da ciò è difficile scappare. Nulla di tutto questo è realmente spontaneo, è tutta una proiezione ed alcuni di noi giovani se ne stanno accorgendo perché ne vedono le conseguenze sulla propria salute mentale e su quella di chi ci circonda. La scena è musicalmente e concettualmente stagnante, gli emergenti sono costretti ad essere creatori di contenuti prima che artisti, questo pone la pianificazione davanti alle esperienze di vita e gli spazi di riflessione, fondamentali per la crescita artistica. Ne risulta che non c’è innovazione, non c’è sperimentazione perché all’interesse creativo viene anteposto quello per i numeri.
In tutto ciò il rap, nato come strumento di riflessione e protesta sociale, ha perso totalmente i propri riferimenti: non si è evoluto, piuttosto involuto, non unisce più chi è in difficoltà ma anzi se-para, in un nauseante individualismo che tutto fagocita e dà zero risposte ai giovani e gli emarginati. Infine, già da tempo sono morte le grandi canzoni pop, sostituite da tormentoni no sense che ci scorderemo tutti tra due mesi. Ci sono delle eccezioni, ovviamente. Ad esempio, alcuni lavori di artisti come Madame, Rancore e Daniela Pes a noi piacciono un sacco, ma le cose realmente eccitanti accadono tutte nell’underground più profondo, che al contrario del mainstream è costante-mente in espansione creativa. Vorremmo che le persone si concentrassero sulla scena locale della propria città: è lì che risiede il vero fermento creativo, il cuore pulsante delle generazioni. Solo nella nostra città, Pescara, ci vengono in mente 5-6 artisti che ascoltiamo con molto più interesse di qualsiasi playlist mainstream spinta da Spotify.
Il brano non viene mai eseguito dal vivo per la sua complessità: immaginate un futuro in cui por-tarlo on stage sarà possibile, magari con un set più strutturato?
Al momento non siamo così interessati a suonare live quanto ad esprimere la nostra creatività in studio. Ci sono a livello locale formazioni che sono più preparate e adatte a suonare su base setti-manale, noi siamo più una studio band. Comunque, quando lo facciamo si tratta sempre di piccoli locali nella nostra città, per i quali preferiamo brani più diretti e che facciano muovere le persone. In NAUSEA, il nostro primo progetto, ce ne sono alcuni che sono sempre molto divertenti da suo-nare. Se vi siete fatti un’idea del nostro sound con CHIUSE LE MANI, potreste rimanere sorpresi.
NAUSEA nasce in un periodo lungo e complesso per entrambi. In che modo le vostre esperienze personali hanno inciso sulla scrittura e sulla produzione del brano?
Il periodo è stato certamente complesso, ma a dire il vero la creazione dei pezzi in sé è avvenuta in poco tempo, complessivamente nel giro di un paio di mesi. Il processo però è stato diluito nel tempo perché stavamo contemporaneamente mettendo su uno studio di registrazione con altri artisti locali pescaresi, quindi i pezzi sono rimasti fermi per svariati mesi dopo essere stati scritti e prima di effettuare le registrazioni definitive. È stato comunque un periodo altalenante a livello di motivazione nel continuare il progetto, soprattutto da parte di Alessandro, e tutto ciò ha influito sulla continuità del processo creativo.
A prescindere comunque NAUSEA nasce da un mix di insoddisfazioni lavorative ed universitarie sfociate in depressione, e di difficoltà relazionali ed emotive che a tratti hanno reso quel periodo un vero disastro ma hanno ispirato le sonorità dure ed i testi del progetto.


