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É disponibile da venerdì 4 aprile 2025 su tutte le piattaforme digitali il nuovo singolo del cantautore e polistrumentista padovano classe 1996 Giovanni Battistin, un nuovo capitolo dal titolo “Raggio di sole” (fuori per Scissor Salad, in distribuzione Believe Music Italy).

Un brano intenso e personale, che anticipa il nuovo disco in uscita dal titolo “Ultimo accesso“, e che descrive una sensazione di contrasto tra gioia e tristezza, invitando l’ascoltatore a riflettere sul significato delle relazioni passate. Il singolo celebra la nostalgia dei ricordi e l’impatto che determinate persone hanno avuto all’interno della nostra vita, sia nel bene che nel male.

 

Un cantautore della nuova scuola padovana, e non vedevamo l’ora di presentarvelo, così lo abbiamo intervistato. 

 

  1. Come hai conosciuto Tommaso Zoppello, e quando hai sentito che potevi fidarti a tal punto da affidargli i tuoi pezzi?

 

Se la memoria non mi inganna, credo di aver conosciuto Tommaso attorno ai 14 anni. 

Ci siamo trovati qualche volta a suonare nella taverna di Amedeo Schiavon, un batterista e musicista padovano incredibile che ho conosciuto alle medie.

Eravamo già tutti affascinati dal rock psichedelico e dal progressive e in quegli anni abbiamo effettivamente cominciato a sperimentare con la musica, già convinti che questo dovesse essere il nostro mestiere nella vita.

Alle superiori ho cominciato a collaborare stabilmente con Tommaso in svariate formazioni. In quegli anni ci siamo approcciati al mondo dell’home recording con Audacity, i microfoni del patronato e un computer mezzo scassato.

Ho sempre apprezzato il suo estro creativo e nel tempo ho avuto modo di vedere quanto sia cresciuto, come artista e come produttore.

Alla luce di un’amicizia che va avanti da ormai 15 anni non poteva che essere lui il mio “dottore del suono” di fiducia.

 

  1. Sei attivo da tempo, perchè hai esordito nel 2017. Come puoi riassumerci quanto è successo da quell’anno ad oggi? Senti il periodo del Covid come una spaccatura?

 

Nel 2020, durante la pandemia, ho prodotto da casa “Amuchina” con l’aiuto da remoto di Stefano Cosi che ha ultimato la produzione del singolo.

Stare davanti al computer in mansarda a scrivere musica era un ottimo passatempo e ho cominciato a buttare giù molte idee, che poi sono diventate i brani che sto facendo uscire.

Se mi guardo indietro dal 2017 ad oggi, come musicista sono passato per una crisi identitaria, che mi ha portato però ad avere una maggiore consapevolezza di tutto il processo che sta dietro alla produzione di una canzone e alla sua distribuzione.

All’epoca ero molto acerbo, si trattava delle mie primissime canzoni in italiano e nel mentre cominciavo a studiare pianoforte jazz. 

Non avevo un’idea ben chiara del sound che ricercavo come cantautore: sentire la mia musica uscire dalle casse di uno studio per me era una cosa incredibile e il “gaso” superava di gran lunga la coscienza di quello che stavo facendo.

 

  1. Padova è una città dove è facile fare musica? Quali sono i luoghi a cui sei più legato e dove è più facile fare conoscenze?

 

La scena padovana è vivissima e questo non lo si può ignorare.

Al momento, quasi tutti i giorni della settimana trovi jam session nei locali se hai voglia di suonare e conoscere gente. C’è una proposta vastissima di band e artisti fortissimi con base a Padova. Il mercoledì mi trovate sempre alla Legatoria13 a suonare il pianoforte per esempio!

In estate ci sono eventi come Sherwood Festival, Arcella Bella e tantissimi altri festival più piccoli che fortunatamente animano le nostre serate. Il resto dell’anno però purtroppo si sente decisamente la mancanza di spazi adeguati per la musica dal vivo.

Se non per un paio di piccoli circoli, gli unici posti dove si riesce a suonare la propria musica sono quei pochi piccoli bar che spesso incappano pure in lamentele da parte del vicinato e che comunque prediligono formazioni ridotte.

Avere una band e riuscire a suonare in giro quindi non è poi così facile, manca una via di mezzo: si passa dal baretto a palchi come come Hall o il Gran Teatro Geox.

 

  1. Come ti sei avvicinato per la prima volta alla musica, e come?

 

Mio padre e mio fratello prendevano lezioni di pianoforte e la loro insegnante cominciò a venire a casa nostra quando avevo 6 anni. Cominciai così anche io, forzatamente e malvolentieri.

Fino ai 10 anni non sono stato in grado di oppormi davvero, ma un giorno trovai la forza di dire ai miei: “per me state buttando i soldi”. La maestra non venne più e nessuno continuò a suonare il pianoforte.

La mia scuola media era ad indirizzo musicale, volevo imparare a suonare la chitarra ma sono finito a fare violino, che era la mia seconda scelta.

Con il flauto dolce ero bravo e con il violino non andava male, ma questa cosa della chitarra non mi andò giù, così cominciai ad impararla da autodidatta, dopo averne trovata una vecchia dei miei in mansarda.

Da lì ho cominciato a suonare un sacco di strumenti diversi perché cominciavo a capire tutte le cose che c’erano in comune, specialmente tra gli strumenti a corda.

 

  1. Ci racconti anche la copertina che hai scelto per il tuo singolo “Raggio di sole”? Che cosa rappresenta?

 

“Raggio di sole” fa parte di un EP intitolato “Ultimo Accesso”. Il tema che lega i quattro brani che lo compongono è il rapporto tra social network e relazioni interpersonali.

Le copertine di tutti i singoli sono molto simili, hanno come sfondo il background predefinito di una qualsiasi chat di WhatsApp e presentano sempre due mani come se fossero degli stickers, una rossa-gialla ed una viola-fucsia.

Jacopo Antonello ha disegnato e colorato queste mani su dei modelli di riferimento che gli avevo fornito e a partire dai disegni mi sono ingegnato sulla composizione.

In ogni copertina la disposizione delle mani è differente: il modo in cui ho deciso di collocarle e la loro dimensione nascondono una mia interpretazione della canzone.

Le mani sono uno strumento di comunicazione potentissimo e ci permettono di interagire in moltissimi modi: basta pensare ai messaggi e ai post che inviamo ogni giorno, alla gestualità, alla lingua dei segni, e perchè no, anche a questa stessa intervista digitata al PC.

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