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Abbiamo fatto due domande ai creatori di “The Fermi Paradox”, un album che fonde i linguaggi della scienza e della musica in un’esperienza unica. Tra onde gravitazionali tradotte in suoni, collaborazioni internazionali e il confronto con gli astrofisici del JPL, questo lavoro esplora il mistero delle civiltà aliene e il nostro posto nell’universo.


“The Fermi Paradox” prende forma dall’incontro tra musica e scienza: come avete tradotto in suoni concetti complessi come onde gravitazionali e buchi neri?
All’inizio, quando ci è stata proposta l’idea di creare musica basata sulle onde gravitazionali, avevamo rifiutato, perché sembrava solo un tentativo di ricreare delle sonorità partendo dalle forme d’onda. Però, quando abbiamo cominciato a concentrarci sul lato creativo di tradurre la presenza umana in musica e il rapporto con l’universo, è venuto fuori qualcosa di interessante e siamo davvero felici del risultato.

Il vostro album è un progetto corale registrato tra Pasadena, Correggio e Nashville, con ospiti da tutto il mondo: quali spunti culturali o stilistici avete ricevuto da artisti come Wu Fei, Jeff Coffin o Sidiki Camara?
Collaborare con artisti come Wu Fei, Jeff Coffin e Sidiki Camara ha portato nell’album un ricco mosaico di influenze culturali e musicali. Wu Fei ci ha introdotti alla profondità espressiva e alla potenza sottile del guzheng, aiutandoci a intrecciare trame sonore che evocano al tempo stesso antiche tradizioni e paesaggi futuristici. Il linguaggio improvvisativo e la sensibilità jazzistica di Jeff Coffin hanno dato respiro e movimento alle nostre composizioni—il suo sassofono funge spesso da voce narrante nei brani. E Sidiki Camara ha portato il battito: le sue percussioni maliane hanno radicato alcune delle idee più astratte in un ritmo terrestre, ancestrale. Ognuno di loro ha offerto molto più che il proprio suono—ci hanno spinti a ripensare lo spazio, il tempo e l’emozione nella musica.

Quanto ha influenzato il dialogo con gli astrofisici del JPL di Pasadena (in particolare Michele Vallisneri) nel plasmare i testi e l’atmosfera dell’album? Ci raccontate un aneddoto di questa collaborazione?
Il dialogo con gli astrofisici del JPL ha avuto un impatto profondo sull’album—sia nei contenuti che nel tono. Michele non ci ha fornito solo nozioni scientifiche, ma ha portato con sé una prospettiva poetica sullo spazio-tempo, sull’incertezza e sulla ricerca di senso dell’essere umano. Le sue spiegazioni sulle onde gravitazionali o sul silenzio del cosmo hanno acceso idee per i testi o ispirato l’atmosfera di un brano. Un momento memorabile è stato durante una videochiamata notturna, quando Michele ha descritto i buchi neri non come vuoti distruttivi, ma come “narratori silenziosi” che piegano il tempo e la luce. Quella metafora ci è rimasta impressa e ha finito per plasmare uno dei brani centrali dell’album—sia dal punto di vista musicale che testuale. Conversazioni come queste ci hanno aiutato ad apprezzare la scienza, lasciando al contempo spazio all’interpretazione musicale.

“The Fermi Paradox” esplora la possibilità di incontrare civiltà aliene, ma è anche un’indagine sul nostro posto nell’universo: quale emozione – meraviglia, solitudine o speranza – volevate mettere in primo piano e perché?
Pensiamo sia importante renderci conto della scala della nostra galassia e dell’universo, questo ci permette anche di comprendere che può non valer la pena far piccole lotte condominiali, che sono poi guerre, genocidi etc. Perché?

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