Sono innumerevoli i piani di lettura che gioco a raccogliere ascolto dopo ascolto.
Come accade nel guardare questa copertina che non si sa se parla di luce o di ombre, di contorni o di soggetti in primo piano.
Come la superficie a cui si torna o come le profondità dentro cui ci si nasconde.
“Il sonno delle Balene” è il nuovo disco di Phomea, moniker di Fabio Pocci: disco scuro, di un pop-rock che dedica ampio spazio alla voce narrante, che tanto chiede al post-rock, ai contorni acidi e alle sospensioni inevitabili.
È un disco dentro cui concedersi tempo…
Un suono che scarta di lato l’elettronica sfacciata del pop d’autore di oggi. Tutt’altro direi…
È lecito secondo te chiederti perché questa scelta? Sembra un manifesto…
Mi piace seguire le mie ossessioni, per quanto a volte sembrino totalmente fuori contesto o contrastanti con un percorso coerente.
Il suono di questo disco fondamentalmente è nato da due pensieri… inizialmente per me era un disco pianoforte/violoncello.
Poi ho sentito la necessità di pensarlo come un disco da “band”, mi ero stancato di pensarmi come solista, lo volevo suonare con altre persone (i miei compagni di live, Alessio&Alessio).
Questo mi ha portato a deviare dal percorso intrapreso col disco precedente (Me and my army) dove avevo provato a fondere il mio modo di suonare (più folk e rock) con tante infiltrazioni elettroniche.
Questo disco (Il sonno delle balene) è nuovamente in italiano, parte da basi molto personali e torna ad un approccio molto più simile al primo (Annie).
Ne avevo bisogno. Avevo bisogno che fosse il più diretto possibile, suonato, immediato.
Ampi richiami ai CSI, posso dirtelo?
Nella bellissima “La vendetta è una valvola perfetta” direi che il mondo è quello… non trovi?
Puoi dirlo, ovviamente, e in realtà mi trovi d’accordo (e mi fa piacere).
Pur non cercando mai di emulare i miei “idoli”, il mondo è sicuramente quello, così come tutto il movimento ‘90.
Alla fine i miei pezzi probabilmente sono più spostati verso il cantautorato ma quello che mi ha davvero emozionato nella mia vita poi viene fuori.
E se c’è una cosa che mi sono da sempre “imposto” per il progetto Phomea è dare spazio ai pezzi, alla loro natura e alla loro naturale evoluzione nel sound e arrangiamento.
In questo disco ancora di più, i provini e gli arrangiamenti sono stati fatti quasi live, seguendo quello che veniva fuori.
E se ti dicessi che ci sento tanto punk dentro l’approccio di molte canzoni?
“Alter Ego” forse ne è un esempio… che mi rispondi?
Ti rispondo che mi ci sento molto! Mi piace portare avanti un approccio che dia spazio più ai miei bisogni, alle mie visioni, che a delle logiche di mercato che “dovresti” seguire.
Insomma, del punk prendo l’immediatezza, l’approccio al DIY, il bisogno di esprimermi come voglio io. Questo un po’ nella vita in generale ma poi si riflette anche nei miei progetti musicali.
E trovo molto divertente vedere questo contrasto strano tra il mio modo di scrivere, molto più vicino spesso al cantautorato, e il mio modo di pensare e arrangiare il pezzo finito.
A volte ho pure pensato che possa essere una sorta di autodifesa, un modo per non lasciarsi andare totalmente ad una cosa che può essere definita alla perfezione, magari per tenersi sempre un raggio d’azione o uno spazio per giustificare un fallimento.
Non so, devo ancora capirne il senso, è che mi ci sento così!
“Muoversi controtempo” è uno dei due singoli estratti.
Ma secondo te la ricchezza è nell’essere sincronizzati o il contrario?
Sono semplicemente fasi della vita, fasi di un rapporto. La realtà è che in entrambi i casi puoi trovare la bellezza e un percorso che vale la pena di intraprendere.
La ricchezza la vedo nel movimento, che sia sincronizzato o “controtempo”, purché volontario. Così come nell’attesa, se questa serve a dare spazio e possibilità all’altro di muoversi.
La ricchezza sta nell’essere presenti a sé stessi e agli altri, fare, disfare, creare cose utili, cose inutili, donare ed essere pronti a ricevere e stupirsi.
Questo scambio raramente è perfettamente sincronizzato e quando succede devi essere pronto a meravigliarti e rimettere in ballo tutto, se necessario, prima di non riuscire più a farlo.
Belle sensazioni sospese, umane e di sintesi dentro “Castelli di sabbia”.
Che sia questo il punto di arrivo? Noi stessi e niente più?
Noi stessi e niente di più! Ti adoro, sì.
Credo che questo disco voglia puntare anche su questo e sulla consapevolezza che tutto parte da lì…
Ma non per isolarsi, anzi, per farsi trovare davvero aperti all’altro e alle connessioni che si possono creare.
Forse questi sono i punti focali dell’intero disco: consapevolezza, movimento, attesa.
Questo tema in realtà, se ci fai caso, viene sfiorato (a volte forse pure involontariamente!) anche in altri pezzi, con altre immagini (ad esempio Un giorno perfetto e Casa).
Bagnasciuga e Castelli di sabbia si configurano proprio come punto di partenza e di arrivo di un viaggio che è in primo luogo una fase della mia (tua? nostra?), con ambientazioni molto simili, una spiaggia.
Questo ci suggerisce anche che un viaggio fondamentalmente parte e torna nello stesso luogo, dipende solo da quanto lontano lo guardi.
🎧 Ascolta qui “Il sonno delle balene”:
Spotify – Phomea